di Daniele Bellasio giornalista de "Il Foglio"
Come se Bruxelles, invece di creare un commissario antimafia, creasse un commissario agli italiani. Piacerebbe? D’accordo, la sicurezza è un problema principalmente di immagine, di percezione, perché la paura è una sensazione: è immateriale ma reale, come hanno ricordato il leader del Pd, Walter Veltroni, e il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. Ma, se è un problema di immagine, un governo può essere indotto nell’errore di credere sufficiente il dare la percezione che il problema sia principalmente uno: per dire che, una volta eliminato quello specifico guaio, la missione è compiuta. Illusorio. Perché io mi sento o no sicuro senza aggettivi, in generale. Io sento o no che lo stato mi protegge. Io so o no che se sbaglio pago. Io ho la percezione che sia diventato inutile fare una denuncia o no. Io so che una cosa è vietata e non si può fare. Io so che ci sono delle regole e le rispetto. Per queste ragioni, non c’è da scandalizzarsi se un governo o un sindaco, appena insediati, vogliono dare il segno di un cambio della guardia. Missione compiuta, appunto: ieri l’Herald Tribune titolava in prima pagina sulla stretta anti immigrazione dell’Italia. Il messaggio è arrivato oltre confine. Però la sicurezza non ha aggettivi. Se la circoscrivi a un campo, prima o poi sorgerà un problema simile e magari più grave nel campo vicino. Io mi sento sicuro se c’è un commissario alle strade, se c’è un’auto della polizia che gira nel quartiere (in America avviene, da noi quante volte le vedete la notte a Monteverde o a Bollate?). Non mi sento sicuro perché c’è un commissario ai rom. Anzi. Che cosa vuol dire? Appiccicare un aggettivo, etnico, religioso, insomma di qualunque tipo, a un problema o a una legge o a una campagna è la via più semplice: s’individua un obiettivo e si concentra l’attenzione dell’opinione pubblica. E’ più facile mostrare subito qualche risultato, ma è pericoloso. Per due ragioni.
Come se Bruxelles, invece di creare un commissario antimafia, creasse un commissario agli italiani. Piacerebbe? D’accordo, la sicurezza è un problema principalmente di immagine, di percezione, perché la paura è una sensazione: è immateriale ma reale, come hanno ricordato il leader del Pd, Walter Veltroni, e il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. Ma, se è un problema di immagine, un governo può essere indotto nell’errore di credere sufficiente il dare la percezione che il problema sia principalmente uno: per dire che, una volta eliminato quello specifico guaio, la missione è compiuta. Illusorio. Perché io mi sento o no sicuro senza aggettivi, in generale. Io sento o no che lo stato mi protegge. Io so o no che se sbaglio pago. Io ho la percezione che sia diventato inutile fare una denuncia o no. Io so che una cosa è vietata e non si può fare. Io so che ci sono delle regole e le rispetto. Per queste ragioni, non c’è da scandalizzarsi se un governo o un sindaco, appena insediati, vogliono dare il segno di un cambio della guardia. Missione compiuta, appunto: ieri l’Herald Tribune titolava in prima pagina sulla stretta anti immigrazione dell’Italia. Il messaggio è arrivato oltre confine. Però la sicurezza non ha aggettivi. Se la circoscrivi a un campo, prima o poi sorgerà un problema simile e magari più grave nel campo vicino. Io mi sento sicuro se c’è un commissario alle strade, se c’è un’auto della polizia che gira nel quartiere (in America avviene, da noi quante volte le vedete la notte a Monteverde o a Bollate?). Non mi sento sicuro perché c’è un commissario ai rom. Anzi. Che cosa vuol dire? Appiccicare un aggettivo, etnico, religioso, insomma di qualunque tipo, a un problema o a una legge o a una campagna è la via più semplice: s’individua un obiettivo e si concentra l’attenzione dell’opinione pubblica. E’ più facile mostrare subito qualche risultato, ma è pericoloso. Per due ragioni.
La prima è che appiccicare un aggettivo a un crimine sembra voler dire che ci sono crimini più crimini degli altri, dunque ci sono persone o gruppi di persone meno persone delle altre. Al limite ci può essere un commissario al tal reato, al tal problema, ma non al tal gruppo o alle tali persone.
La seconda ragione per cui è un esercizio rischioso è che subito dopo ci sarà un’altra emergenza, un altro aggettivo: se non si affronta il problema sicurezza nell’affermazione neutra della sovranità dello stato, la coperta sarà sempre corta e tu, governo, sarai sempre passibile dell’accusa di aver sì perseguito alcuni tipi di comportamenti criminali, ma non altri.
Il cahier delle emergenze a corrente alternata
L’Italia è fatta così, va a emergenze: cani feroci, bullismo, nonnismo, alcol e discoteche, rapine in villa, droghe, rom, islam, corruzione, albanesi, rave, velocità sulle strade, evasione fiscale, marocchini, prostituzione, immondizia, piromani, pedofili, mamme che uccidono bambini, che uccidono papà che, se non sono pedofili, uccidono le mogli. Attenzione però che stavolta è rischioso sul serio, perché prendere decisioni ad hoc per determinati gruppi, con determinati aggettivi, può far da volano alla pancia che mal digerisce l’insicurezza per risputarla sotto forma di razzismo. Lo stato deve saper garantire l’ordine e preservare la sua sovranità sul territorio, non su persone o gruppi di persone. Vanno perseguiti e puniti i reati senza aggettivi, non le persone senza reati. Il clima deve cambiare per tutti, non per chi ricade nel gruppo denominato con l’aggettivo scelto per la crisi emergenziale del momento. Scegliere una crisi via l’altra significa nascondere la debolezza generale dello stato, il senso di illegalità diffuso e l’accidia nazionale di fronte all’idea di imparare che le regole vanno rispettate. Se no poi, di aggettivo in aggettivo, parte il teatro dell’assurdo. Come le cartine dei giornali che, sotto il titolo “i crimini dei rom”, elencano baracche abusive.
Obiezione: da qualche cosa bisogna pur cominciare.
Esatto, da qualche cosa, non da qualcuno.
Nuovo governo: “Cari ragazzi, puntiamo sulla sicurezza dei cittadini. Ci saranno più poliziotti per strada e più regole fatte rispettare”. E che sia un dammuso o una baracca poco cambia. In fondo, per farci andare meno forte in autostrada sono bastati gli autovelox e per non farci fumare nei bar i cartelli e qualche multa, senza alcun commissario addetto agli italiani.
1 commento:
diceva bene l'ultima inchiesta di Exit, il programma de la7:
Italia, l'emergenza infinita
è proprio così
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