mercoledì 21 ottobre 2009
domenica 11 ottobre 2009
sabato 26 settembre 2009
domenica 28 giugno 2009
In ogni caso, inadatto.
Negli anni 80 l’avvocato David Mills crea per il suo gruppo ben 64 società offshore nei paradisi fiscali, ma lui non sospetta nulla, anzi non sa nemmeno cosa sia la capofila All Iberian. Questa accumula all’estero una montagna di fondi neri che finanziano, fra gli altri, Bettino Craxi (23 miliardi di lire) e Cesare Previti (una ventina). Previti, avvocato di Berlusconi, ne gira una parte ai giudici romani Vittorio Metta (nel 1990) e Renato Squillante (nel 1991), ma di nascosto al Cavaliere. Il quale però s’intasca il gruppo Mondadori grazie a una sentenza di Metta, corrotto da Previti con soldi Fininvest. Nei primi anni 90 il capo dei servizi fiscali del gruppo, Salvatore Sciascia, paga almeno tre tangenti alla Guardia di finanza. E nel 1994, quando la cosa viene fuori, il consulente legale Massimo Berruti tenta di depistare le indagini dopo un incontro a Palazzo Chigi col principale. Ma questi non si accorge di nulla (“giuro sui miei figli”). Nemmeno quando Sciascia e Berruti vengono condannati, tant’è che se li porta in Parlamento. Nel 1997-’98 Mills, testimone nei processi Guardia di Finanza e All Iberian, non dice tutto quel che sa e lo “salva da un mare di guai” (lo confesserà al commercialista). Poi riceve 600 mila dollari dal gruppo di “Mr. B”. E Mr. B sempre ignaro di tutto (rigiura sui suoi figli).
Di recente si scopre che il Nostro, nell’ottobre scorso, prese a telefonare a Noemi, una minorenne di Portici, proprio mentre il suo governo varava una legge per stroncare la piaga delle molestie telefoniche (“stalking”). Ma lui scoprì che era minorenne solo quando fu invitato al suo diciottesimo compleanno. Ora salta fuori che Patrizia D’Addario, che trascorse con lui una notte a Palazzo Grazioli, è una nota “escort” barese, pagata da un amico del premier (l’”utilizzatore iniziale”?). Ma lui non ne sapeva nulla, tant’è che in quel mentre il suo governo varava una legge per arrestare prostitute e clienti. E’ sempre l’ultimo a sapere. Può un uomo così ingenuo, o sfortunato, o poco perspicace, fare il presidente del Consiglio?
Marco Travaglio
domenica 21 giugno 2009
mercoledì 10 giugno 2009
COMPLIMENTI CONSIGLIERE
Un post dedicato a uno del Macchi!
Lore, alla prima candidatura come consigliere comunale a Livorno, riesce ad ottenere il seggio con 76 voti, nonostante sia entrato da poco nel partito, questo perché conosce tanta gente... ma tanta. Si dirà che 76 voti non sono tanti, oltretutto in un comune con circa 100.000 elettori, tuttavia bisogna considerare che Lore ha solo 22 anni e praticamente 0 esperienza politica; ma dalla sua ha tanta passione per essa e per la legge in generale, quindi siamo certi che assolverà al suo compito seriamente e con vivo e sincero sentimento e con forte senso civico e del dovere.
Oggi così...
domani...
VAI LORE VAI!
Lore, alla prima candidatura come consigliere comunale a Livorno, riesce ad ottenere il seggio con 76 voti, nonostante sia entrato da poco nel partito, questo perché conosce tanta gente... ma tanta. Si dirà che 76 voti non sono tanti, oltretutto in un comune con circa 100.000 elettori, tuttavia bisogna considerare che Lore ha solo 22 anni e praticamente 0 esperienza politica; ma dalla sua ha tanta passione per essa e per la legge in generale, quindi siamo certi che assolverà al suo compito seriamente e con vivo e sincero sentimento e con forte senso civico e del dovere.
Oggi così...
domani...
VAI LORE VAI!
sabato 6 giugno 2009
IN DIFESA DEL P.M. BRUNI
"Il dott. Bruni è a rischio di vita assoluta". E' quanto ha detto il pentito di 'ndrangheta Angelo Cortese, ex affiliato ad una cosca di Cutro (Crotone), nel corso di un'interrogatorio fatto nell'ottobre scorso di cui ha parlato, in un servizio, il Tgr Rai della Calabria.
"Abbiamo a disposizione - ha aggiunto Cortese - molte armi, sia bazooka che esplosivo in quanto il dottor Bruni è una persona che non cammina così, libero. Cammina con la scorta, con la macchina blindata. Quindi si parlava di fare un attentato perché si colpisse la macchina blindata. Si potrebbe usare anche dell'esplosivo, sia nell'abitazione, sia durante un processo a Catanzaro, oppure nel tragitto. Si potrebbe colpire anche con un fucile di precisione durante uno spostamento mentre arriva in un tribunale, in un'udienza. Mezzi e armi ci sono e gli uomini anche".
Eppure, a breve gli rimuoveranno pure la scorta.
Perchè la 'Ndrangheta si vuole esporre così tanto, vi chiederete. Chi è costui?
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2009/05/massopolindrangheta-a-caccia-grossa-di-pierpaolo-bruni-vita-dura-per-un-pm-che-deve-morire-non-solo-.html
Non possiamo restare indifferenti a tutto ciò, come popolo Italiano abbiamo il dovere di schierarci, di non esser correi di questo omicidio. Almeno noi non lasciamolo solo come sta facendo lo "Stato".
L' indifferenza uccide, passate parola perfavore.
"Abbiamo a disposizione - ha aggiunto Cortese - molte armi, sia bazooka che esplosivo in quanto il dottor Bruni è una persona che non cammina così, libero. Cammina con la scorta, con la macchina blindata. Quindi si parlava di fare un attentato perché si colpisse la macchina blindata. Si potrebbe usare anche dell'esplosivo, sia nell'abitazione, sia durante un processo a Catanzaro, oppure nel tragitto. Si potrebbe colpire anche con un fucile di precisione durante uno spostamento mentre arriva in un tribunale, in un'udienza. Mezzi e armi ci sono e gli uomini anche".
Eppure, a breve gli rimuoveranno pure la scorta.
Perchè la 'Ndrangheta si vuole esporre così tanto, vi chiederete. Chi è costui?
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2009/05/massopolindrangheta-a-caccia-grossa-di-pierpaolo-bruni-vita-dura-per-un-pm-che-deve-morire-non-solo-.html
Non possiamo restare indifferenti a tutto ciò, come popolo Italiano abbiamo il dovere di schierarci, di non esser correi di questo omicidio. Almeno noi non lasciamolo solo come sta facendo lo "Stato".
L' indifferenza uccide, passate parola perfavore.
(thanks to: AntimafiaDuemila)
giovedì 4 giugno 2009
mercoledì 13 maggio 2009
domenica 10 maggio 2009
Elio e le storie tese
Dunque. Elio Letizia da Secondigliano, messo comunale, 12 mila euro dichiarati all’anno, ha una figlia, Noemi, che veste firmato e va a scuola in Mercedes con autista. Lui conosce intimamente il premier, ma né lui né il premier spiegano come e quando si sono conosciuti. Anche Noemi conosce intimamente il premier: a 15 anni inviò un book di foto a Mediaset tramite un amico di Dell’Utri; poi, a 16-17 anni, iniziò a frequentare “papi” per tirargli su il morale col karaoke. Milano, Roma, Sardegna. Ma sempre, giura Ghedini, accompagnata dai genitori. Strano: i coniugi Letizia risultano separati da anni; e il Corriere ventila addirittura un’“amicizia particolare” tra Elio e un ex dirigente comunale. Quali armi di persuasione possieda Elio per convocare il premier da Milano alla circonvallazione di Casoria, posto da paura, non è dato sapere. Salvo credere al premier: “Elio voleva parlarmi delle candidature di Malvano e Martusciello”. Uno è l’ex questore di Napoli, deputato Pdl; l’altro un consigliere regionale Pdl, fratello del coordinatore forzista in Campania. I due non han mai visto né conosciuto Elio. Che però, generoso com’è, li raccomandava lo stesso.
Silvio rimane chiuso un’ora in aereo a Capodichino in attesa che Noemi entri alla festa. E, siccome ha deciso all’ultimo momento, le regala un collier che casualmente teneva in tasca, per ogni evenienza. Sempre casualmente, la scorta aveva "bonificato" il locale da eventuali pericoli già in mattinata, prima che lo stesso premier sapesse che ci sarebbe andato. E, ancora casualmente, da sotto un tavolo è poi spuntato in tempo reale un fotografo di “Chi” (Mondadori) per immortalare la scena. Tutto chiaro. Ecco perchè Veronica e Mike Bongiorno trovavano perennemente occupato: era sempre al telefono con Elio.
Silvio rimane chiuso un’ora in aereo a Capodichino in attesa che Noemi entri alla festa. E, siccome ha deciso all’ultimo momento, le regala un collier che casualmente teneva in tasca, per ogni evenienza. Sempre casualmente, la scorta aveva "bonificato" il locale da eventuali pericoli già in mattinata, prima che lo stesso premier sapesse che ci sarebbe andato. E, ancora casualmente, da sotto un tavolo è poi spuntato in tempo reale un fotografo di “Chi” (Mondadori) per immortalare la scena. Tutto chiaro. Ecco perchè Veronica e Mike Bongiorno trovavano perennemente occupato: era sempre al telefono con Elio.
venerdì 24 aprile 2009
martedì 21 aprile 2009
Italietta secondo B. Severgnini
Oggi parliamo di plagio accademico, cori contro Balotelli, professionisti ingordi e cemento (male) armato. I fili italiani sono sottili e tenaci: trovarli è possibile, tagliarli troppo faticoso. Cominciano dalle università. A differenza di quelle inglesi o francesi, sono sprovviste di software di rilevamento del plagio. Secondo la società Six Degrés, che ha condotto una ricerca su 2.000 atenei e istituti, il 50% delle tesi contengono più del 5% di similitudini da Internet. Traduzione: metà degli studenti copia. Alle superiori, l'84% delle tesine dell'ultimo anno sono del tutto o in parte copiate. Voi direte: segreto di Pulcinella. D'accordo: ma il plagio è vietato, talvolta è reato. In molti Paesi, Usa in testa, l'azione è giudicata grave e disonorevole. Uno studente sorpreso a copiare è punito severamente, talvolta espulso. Forse perché al liceo ho peccato, non mi sento d'essere troppo severo. Ai tempi, però, si trattava di una soffiata o una sbirciata. Oggi si copia su scala industriale. Perché fare una ricerca se si può fare copia-incolla da Wikipedia? Alla stessa conclusione, devo dire, arrivano anche valenti colleghi — e sedici anni non li hanno più da un pezzo.
All'università le colpe sono più gravi, e non nuove. Anche prima del Web le facoltà erano consapevoli della compravendita delle tesi: il ragazzotto ricco e pigro acquistava dal bravo studente, desideroso di guadagnare. Gli studi professionali d'Italia sono pieni di questi campioni (hanno appena alzato gli occhi dal giornale/ schermo, sperando che nessuno li abbia visti arrossire). Tranquilli: niente prediche, in Italia sono fiato sprecato. Dico solo che esiste una regola (acquistare la tesi è vietato), da tutti ignorata.
Lo stesso meccanismo opera in altri campi. L'evasione fiscale, in cui intere categorie sguazzano, guadagnando 200 e dichiarando 30 (se dicessi quali scatterebbe l'indignazione piagnucolosa, e magari la querela). Gli appalti pubblici, dove si viene pagati per fare qualcosa, e si fa molto meno, in molto tempo, con materiali molto scadenti (poi arriva il terremoto, e salta fuori l'inghippo). Un amico mi ha spiegato perché i contratti di pulizia e manutenzione con enti pubblici sono tanto ambiti: ci si fa pagare il massimo e si spende il minimo, riducendo il numero di interventi e ingaggiando extracomunitari in nero. Tanto, chi controlla? E Balotelli? dirà chi ha letto fin qui sperando in una bella polemica Inter-Juve. Be', gli gridano «Negro di merda!» in tutti gli stadi d'Italia. A casa mia questo si chiama razzismo, e del peggiore. Invece, una volta ancora, si tende a far finta di niente, a far passare un reato per un vezzo, una schifezza per un'indelicatezza. Dite un po', fratelli d'Italia: voi vi sentite orgogliosi? Io non tanto.
All'università le colpe sono più gravi, e non nuove. Anche prima del Web le facoltà erano consapevoli della compravendita delle tesi: il ragazzotto ricco e pigro acquistava dal bravo studente, desideroso di guadagnare. Gli studi professionali d'Italia sono pieni di questi campioni (hanno appena alzato gli occhi dal giornale/ schermo, sperando che nessuno li abbia visti arrossire). Tranquilli: niente prediche, in Italia sono fiato sprecato. Dico solo che esiste una regola (acquistare la tesi è vietato), da tutti ignorata.
Lo stesso meccanismo opera in altri campi. L'evasione fiscale, in cui intere categorie sguazzano, guadagnando 200 e dichiarando 30 (se dicessi quali scatterebbe l'indignazione piagnucolosa, e magari la querela). Gli appalti pubblici, dove si viene pagati per fare qualcosa, e si fa molto meno, in molto tempo, con materiali molto scadenti (poi arriva il terremoto, e salta fuori l'inghippo). Un amico mi ha spiegato perché i contratti di pulizia e manutenzione con enti pubblici sono tanto ambiti: ci si fa pagare il massimo e si spende il minimo, riducendo il numero di interventi e ingaggiando extracomunitari in nero. Tanto, chi controlla? E Balotelli? dirà chi ha letto fin qui sperando in una bella polemica Inter-Juve. Be', gli gridano «Negro di merda!» in tutti gli stadi d'Italia. A casa mia questo si chiama razzismo, e del peggiore. Invece, una volta ancora, si tende a far finta di niente, a far passare un reato per un vezzo, una schifezza per un'indelicatezza. Dite un po', fratelli d'Italia: voi vi sentite orgogliosi? Io non tanto.
mercoledì 15 aprile 2009
lunedì 6 aprile 2009
domenica 5 aprile 2009
mercoledì 25 marzo 2009
martedì 17 marzo 2009
FlashNews
Non sarà messa in discussione la proposta avanzata da alcuni parlamentari della Lega di mettere un tetto agli stipendi dei manager di banche e imprese che, in difficoltà per la crisi, beneficeranno di aiuti pubblici. Le proposte sono infatti contenute nell'elenco degli emendamenti al decreto «Salva-auto» considerati inammissibili per materia.
In particolare, un emendamento prevedeva che non potesse superare il limite di 350.000 euro annui il trattamento economico dei dirigenti di banche o istituti di credito che beneficiano in materia diretta o indiretta di aiuti anti-crisi. Un altro emendamento, considerato inammissibile, prevedeva che gli emolumenti corrisposti a qualunque soggetto avente rapporti di lavoro con le amministrazioni statali, o con le agenzie oppure con enti pubblici economici e d enti di ricerca, nonchè con i magistrati, non potesse superare il limite del trattamento corrisposto ai membri del Parlamento.
Ma quello sui superstipendi non è l'unico emendamento cassato dalle commissioni Attività produttive e Finanze della Camera: su 400 proposte di modifica inoltrate al testo del dl sugli incentivi ai settori auto ed elettrodomestici quelle ritenute non ammissibili sono state 256. Tra queste c'erano anche quelle esaminate venerdì scorso dal Consiglio sui ministri a favore dei precari (che prevedevano, tra l'altro, l'aumento al 20% dell'indennità di disoccupazione per i cocopro).
In particolare, un emendamento prevedeva che non potesse superare il limite di 350.000 euro annui il trattamento economico dei dirigenti di banche o istituti di credito che beneficiano in materia diretta o indiretta di aiuti anti-crisi. Un altro emendamento, considerato inammissibile, prevedeva che gli emolumenti corrisposti a qualunque soggetto avente rapporti di lavoro con le amministrazioni statali, o con le agenzie oppure con enti pubblici economici e d enti di ricerca, nonchè con i magistrati, non potesse superare il limite del trattamento corrisposto ai membri del Parlamento.
Ma quello sui superstipendi non è l'unico emendamento cassato dalle commissioni Attività produttive e Finanze della Camera: su 400 proposte di modifica inoltrate al testo del dl sugli incentivi ai settori auto ed elettrodomestici quelle ritenute non ammissibili sono state 256. Tra queste c'erano anche quelle esaminate venerdì scorso dal Consiglio sui ministri a favore dei precari (che prevedevano, tra l'altro, l'aumento al 20% dell'indennità di disoccupazione per i cocopro).
(corriere.it)
lunedì 16 marzo 2009
sabato 14 marzo 2009
Maigret, anzi Clouseau
Così parlò Angelino Jolie Al Fano il 20 febbraio, all’indomani dell’arresto dei due rumeni che non hanno stuprato nessuno alla Caffarella: «Mi complimento col ministro Maroni e col questore di Roma e le forze dell’ordine per gli arresti a Roma dei romeni accusati della violenza sessuale alla Caffarella, avvenuti senza il bisogno di intercettazioni». Il pover’uomo tentava di dimostrare che le intercettazioni non servono, tanto vale abolirle. Del resto il compiacente questore Giuseppe Caruso gli aveva servito l’assist su un piatto d’argento: «Un lavoro da veri poliziotti, fatto in strada, di pura investigazione, di intuito e senza l’aiuto di supporti tecnici. La polizia, dopo aver preso Provenzano, non poteva farsi sfuggire due violentatori». Che però, a dispetto del suo leggendario «intuito senza supporti tecnici», non erano i due violentatori.
L’Ansa magnificava la brillante «indagine dell’ispettore Maigret (sic!, nda), basata sull’intuizione personale, sull’immedesimarsi nella personalità dei protagonisti. Nessun mezzo sofisticato: un’indagine all’antica, dicono soddisfatti gli investigatori della Mobile: decine di interrogatori di persone che corrispondevano alle caratteristiche fisiche delle belve». Ora si scopre che l’unica notizia vera della catastrofica indagine è giunta dalle intercettazioni (evidentemente le han fatte, con buona pace del ministro e del questore): uno dei due rumeni stava per fuggire in Romania. Ora si spera che alla Questura di Roma riscoprano i «supporti tecnici». Almeno per riuscire a distinguere il commissario Maigret dall’ispettore Clouseau.
L’Ansa magnificava la brillante «indagine dell’ispettore Maigret (sic!, nda), basata sull’intuizione personale, sull’immedesimarsi nella personalità dei protagonisti. Nessun mezzo sofisticato: un’indagine all’antica, dicono soddisfatti gli investigatori della Mobile: decine di interrogatori di persone che corrispondevano alle caratteristiche fisiche delle belve». Ora si scopre che l’unica notizia vera della catastrofica indagine è giunta dalle intercettazioni (evidentemente le han fatte, con buona pace del ministro e del questore): uno dei due rumeni stava per fuggire in Romania. Ora si spera che alla Questura di Roma riscoprano i «supporti tecnici». Almeno per riuscire a distinguere il commissario Maigret dall’ispettore Clouseau.
Marco Travaglio
lunedì 9 marzo 2009
Bavaglio
Di ALESSANDRO LONGO
QUATTRO paginette per rivoluzionare internet. È la proposta di legge di Gabriella Carlucci, parlamentare di Forza Italia, che dopo tante polemiche basate su voci di corridoio, è stata pubblicata ufficialmente sul suo blog. L'autrice, per replicare alle critiche, ha scritto in una lettera aperta che è una proposta per combattere la pedofilia online, ma nel testo non c'è traccia di niente del genere. Sembra piuttosto, come risulta anche ai primi commentatori, l'ennesimo tentativo del governo di riformare le regole fondamentali di internet. Premurandosi soprattutto di difendere il diritto d'autore. È questo lo spirito che accomuna i vari articoli della proposta.
Si parte da quello che vorrebbe abolire l'anonimato in internet. Si legge infatti che è vietato immettere in maniera anonima in rete "contenuti in qualsiasi forma". Un divieto che Carlucci vorrebbe estendere anche a operatori e portali: i soggetti che rendono possibile l'anonimato "sono da ritenersi responsabili" al pari con gli utenti "di ogni e qualsiasi reato, danno o violazione amministrativa cagionati ai danni di terzi e dello Stato". Vietato quindi pubblicare commenti su blog o video anonimi su YouTube, per esempio. Ma è una legge a cui preme individuare comunque un colpevole, per gli illeciti che accadono online. Così, la responsabilità ricade anche sui fornitori di servizi se hanno permesso l'anonimato (per esempio su YouTube, per video pubblicati, e in teoria anche sui provider, per la pirateria a mezzo peer to peer).
"È una proposta inattuabile, per molti motivi", dice Guido Scorza, avvocato esperto di internet. Per prima cosa, "la proposta obbliga l'utente a identificarsi a ogni passo che fa online, ma non gli dà gli strumenti per farlo". Che vuol dire, infatti, non essere anonimi? Scrivere il proprio nome e cognome sotto un video o un commento non basta certo a identificare l'utente: non è una firma univoca, che permetta alle forze dell'ordine (o alle aziende che si sentano lese nei propri diritti) di risalire all'autore. Di fatto, se questa proposta diventasse legge così com'è scritta, non sarebbe possibile rispettarla davvero e i vari portali e operatori dovrebbero chiudere in Italia per evitare responsabilità.
C'è un altro scoglio: la normativa comunitaria, recepita in Italia, vieta che dalle azioni fatte dagli utenti possano ricadere responsabilità sui provider. Il tutto sembra insomma fare il paio con una proposta di legge maturata in seno al Comitato antipirateria e redatta- come si è scoperto in un secondo momento- dal parlamentare Luca Barbareschi. Arriverebbero nuove responsabilità su portali come Facebook e YouTube anche dal contestato emendamento D'Alia.
C'è poi un passaggio della proposta Carlucci che cita esplicitamente il diritto d'autore, anche se in modo sibillino: "In relazione alle violazioni concernenti norme a tutela del Diritto d'Autore, dei Diritti Connessi e dei Sistemi ad Accesso Condizionato si applicano, senza alcuna eccezione le norme previste dalla Legge 633/41 e successive modificazioni". Se significa che quella legge va applicata, questo comma non ha senso. È come fare una legge per dire che un'altra legge è legge e va rispettata.
Perplesso anche Scorza: "L'unica interpretazione che mi viene in mente è che si voglia inaugurare una linea dura, senza eccezioni, per il rispetto del diritto d'autore. Niente più, quindi, spezzoni di programmi su YouTube, nemmeno pochi secondi. È un grosso favore a Mediaset, che ora sta combattendo una battaglia per ripulire internet da video contenenti parti delle sue trasmissioni".
L'intento generale della proposta parrebbe insomma togliere ogni dubbio su che cosa sia violazione il diritto d'autore e su quali siano gli autori del reato. Il tutto anche istituendo uno speciale comitato (si legge ancora nella proposta) per vigilare sugli illeciti di internet. Lo zampino dell'industria dell'audio video è manifesta anche in un fatto curioso: sbirciando tra le proprietà del file pubblicato dalla Carlucci, si vede che l'autore è Davide Rossi di Univideo (Unione italiana editoria audiovisiva).
Resta da vedere come possano diventare proposte di legge che sono inattuabili per manifeste lacune oppure perché in contrasto con la normativa comunitaria. Certo è però che, di proposta in proposta, il governo sta mettendo una pressione mai vista su tutti i soggetti della rete, dagli utenti ai provider ai portali. Prima o poi potrebbe partorire una legge che, priva di intralci giuridici, riesca nell'intento di rivoluzionare la vita sul web.
QUATTRO paginette per rivoluzionare internet. È la proposta di legge di Gabriella Carlucci, parlamentare di Forza Italia, che dopo tante polemiche basate su voci di corridoio, è stata pubblicata ufficialmente sul suo blog. L'autrice, per replicare alle critiche, ha scritto in una lettera aperta che è una proposta per combattere la pedofilia online, ma nel testo non c'è traccia di niente del genere. Sembra piuttosto, come risulta anche ai primi commentatori, l'ennesimo tentativo del governo di riformare le regole fondamentali di internet. Premurandosi soprattutto di difendere il diritto d'autore. È questo lo spirito che accomuna i vari articoli della proposta.
Si parte da quello che vorrebbe abolire l'anonimato in internet. Si legge infatti che è vietato immettere in maniera anonima in rete "contenuti in qualsiasi forma". Un divieto che Carlucci vorrebbe estendere anche a operatori e portali: i soggetti che rendono possibile l'anonimato "sono da ritenersi responsabili" al pari con gli utenti "di ogni e qualsiasi reato, danno o violazione amministrativa cagionati ai danni di terzi e dello Stato". Vietato quindi pubblicare commenti su blog o video anonimi su YouTube, per esempio. Ma è una legge a cui preme individuare comunque un colpevole, per gli illeciti che accadono online. Così, la responsabilità ricade anche sui fornitori di servizi se hanno permesso l'anonimato (per esempio su YouTube, per video pubblicati, e in teoria anche sui provider, per la pirateria a mezzo peer to peer).
"È una proposta inattuabile, per molti motivi", dice Guido Scorza, avvocato esperto di internet. Per prima cosa, "la proposta obbliga l'utente a identificarsi a ogni passo che fa online, ma non gli dà gli strumenti per farlo". Che vuol dire, infatti, non essere anonimi? Scrivere il proprio nome e cognome sotto un video o un commento non basta certo a identificare l'utente: non è una firma univoca, che permetta alle forze dell'ordine (o alle aziende che si sentano lese nei propri diritti) di risalire all'autore. Di fatto, se questa proposta diventasse legge così com'è scritta, non sarebbe possibile rispettarla davvero e i vari portali e operatori dovrebbero chiudere in Italia per evitare responsabilità.
C'è un altro scoglio: la normativa comunitaria, recepita in Italia, vieta che dalle azioni fatte dagli utenti possano ricadere responsabilità sui provider. Il tutto sembra insomma fare il paio con una proposta di legge maturata in seno al Comitato antipirateria e redatta- come si è scoperto in un secondo momento- dal parlamentare Luca Barbareschi. Arriverebbero nuove responsabilità su portali come Facebook e YouTube anche dal contestato emendamento D'Alia.
C'è poi un passaggio della proposta Carlucci che cita esplicitamente il diritto d'autore, anche se in modo sibillino: "In relazione alle violazioni concernenti norme a tutela del Diritto d'Autore, dei Diritti Connessi e dei Sistemi ad Accesso Condizionato si applicano, senza alcuna eccezione le norme previste dalla Legge 633/41 e successive modificazioni". Se significa che quella legge va applicata, questo comma non ha senso. È come fare una legge per dire che un'altra legge è legge e va rispettata.
Perplesso anche Scorza: "L'unica interpretazione che mi viene in mente è che si voglia inaugurare una linea dura, senza eccezioni, per il rispetto del diritto d'autore. Niente più, quindi, spezzoni di programmi su YouTube, nemmeno pochi secondi. È un grosso favore a Mediaset, che ora sta combattendo una battaglia per ripulire internet da video contenenti parti delle sue trasmissioni".
L'intento generale della proposta parrebbe insomma togliere ogni dubbio su che cosa sia violazione il diritto d'autore e su quali siano gli autori del reato. Il tutto anche istituendo uno speciale comitato (si legge ancora nella proposta) per vigilare sugli illeciti di internet. Lo zampino dell'industria dell'audio video è manifesta anche in un fatto curioso: sbirciando tra le proprietà del file pubblicato dalla Carlucci, si vede che l'autore è Davide Rossi di Univideo (Unione italiana editoria audiovisiva).
Resta da vedere come possano diventare proposte di legge che sono inattuabili per manifeste lacune oppure perché in contrasto con la normativa comunitaria. Certo è però che, di proposta in proposta, il governo sta mettendo una pressione mai vista su tutti i soggetti della rete, dagli utenti ai provider ai portali. Prima o poi potrebbe partorire una legge che, priva di intralci giuridici, riesca nell'intento di rivoluzionare la vita sul web.
mercoledì 4 marzo 2009
I nodi vengono al pettine
Di Peter Gomez
I nodi stanno arrivando al pettine. Ampiamente annunciata la crisi economica sta per travolgere il nostro Paese. Nei prossimi mesi il numero dei senza lavoro si impennerà per arrivare a toccare, secondo alcuni studi, i tre milioni di disoccupati in più.
Per buona parte di loro non ci sarà nessun sussidio. Il premier Silvio Berlusconi ha detto chiaro e tondo che i soldi per gli assegni di disoccupazione non ci sono. E guardando ai bilanci dello Stato sembra difficile dargli torto.
Il problema però resta. Tra poco, non appena si troveranno assediati da continue manifestazioni e proteste, anche i signori di Montecitorio e Palazzo Madama cominceranno a rendersi conto di come ci sia qualcosa di surreale nelle discussioni parlamentari di queste settimane. Non che di giustizia o di testamento biologico non si debba parlare, ma è evidente, comunque la si pensi, che per il Paese le priorità sono adesso altre.
Certo i margini di manovra sono molto piccoli. Ma esistono. E, prima ancora di discutere di strategie, è necessario dare un forte segnale d'inversione di tendenza. Per evitare che la rabbia di chi ha perso l'occupazione rischi di sfociare nella violenza è necessario dimostrare che anche le classi dirigenti stringono la cinghia. Un intervento deciso sui costi della politica s'impone. Non solo per arrivare finalmente all'abolizione delle province (da tutti promessa in campagna elettorale e da tutti dimenticata), ma anche per evitare nuove uscite straordinarie.
Come è noto, il referendum sulla legge elettorale se verrà messo in calendario per il fine settimana successivo alle elezioni europee costerà agli italiani la bellezza di 400 milioni di euro. Una spesa che verrebbe praticamente azzerata se si andasse a votare in un'unica tornata. Eppure Italo Bocchino, il vice presidente dei deputati del Pdl un tempo membro del comitato promotore del referendum, ha dichiarato pubblicamente che è meglio non accorpare le due chiamate alle urne. Farlo, ha spiegato, significherebbe infatti dare ai referendari molte chance di raggiungere il quorum.
In altri momenti si sarebbe parlato della strana concezione di democrazia che anima questo parlamentare. Oggi è invece il caso di occuparsi solo di numeri. Bisognerebbe insomma chiedersi quanti assegni di disoccupazione, quante auto per le forze di polizia, quanti insegnanti, si potrebbero pagare con quei soldi risparmiati. E se i deputati alla Bocchino, in tempi di crisi come questo, ce li possiamo ancora permettere.
I nodi stanno arrivando al pettine. Ampiamente annunciata la crisi economica sta per travolgere il nostro Paese. Nei prossimi mesi il numero dei senza lavoro si impennerà per arrivare a toccare, secondo alcuni studi, i tre milioni di disoccupati in più.
Per buona parte di loro non ci sarà nessun sussidio. Il premier Silvio Berlusconi ha detto chiaro e tondo che i soldi per gli assegni di disoccupazione non ci sono. E guardando ai bilanci dello Stato sembra difficile dargli torto.
Il problema però resta. Tra poco, non appena si troveranno assediati da continue manifestazioni e proteste, anche i signori di Montecitorio e Palazzo Madama cominceranno a rendersi conto di come ci sia qualcosa di surreale nelle discussioni parlamentari di queste settimane. Non che di giustizia o di testamento biologico non si debba parlare, ma è evidente, comunque la si pensi, che per il Paese le priorità sono adesso altre.
Certo i margini di manovra sono molto piccoli. Ma esistono. E, prima ancora di discutere di strategie, è necessario dare un forte segnale d'inversione di tendenza. Per evitare che la rabbia di chi ha perso l'occupazione rischi di sfociare nella violenza è necessario dimostrare che anche le classi dirigenti stringono la cinghia. Un intervento deciso sui costi della politica s'impone. Non solo per arrivare finalmente all'abolizione delle province (da tutti promessa in campagna elettorale e da tutti dimenticata), ma anche per evitare nuove uscite straordinarie.
Come è noto, il referendum sulla legge elettorale se verrà messo in calendario per il fine settimana successivo alle elezioni europee costerà agli italiani la bellezza di 400 milioni di euro. Una spesa che verrebbe praticamente azzerata se si andasse a votare in un'unica tornata. Eppure Italo Bocchino, il vice presidente dei deputati del Pdl un tempo membro del comitato promotore del referendum, ha dichiarato pubblicamente che è meglio non accorpare le due chiamate alle urne. Farlo, ha spiegato, significherebbe infatti dare ai referendari molte chance di raggiungere il quorum.
In altri momenti si sarebbe parlato della strana concezione di democrazia che anima questo parlamentare. Oggi è invece il caso di occuparsi solo di numeri. Bisognerebbe insomma chiedersi quanti assegni di disoccupazione, quante auto per le forze di polizia, quanti insegnanti, si potrebbero pagare con quei soldi risparmiati. E se i deputati alla Bocchino, in tempi di crisi come questo, ce li possiamo ancora permettere.
sabato 28 febbraio 2009
mercoledì 18 febbraio 2009
martedì 17 febbraio 2009
Scienza e fede
Quest'anno ricorre il 200° anniversario della nascita di Darwin ed il 150° della pubblicazione della sua teoria dell'evoluzione delle specie.
Come noto la teoria dell'evoluzionismo non è ben vista dalla religione cristiana, o meglio da persone di fede crisitiana che sostengono il creazionismo.
Per un confronto su questo tema, la Diocesi di Livorno ha organizzato un incontro-dibattito venerdì 20 Febbraio presso l'auditorium della Parrocchia di S. Lucia in Antignano (via U. Sarti 89, Livorno).
Il titolo dell'incontro è: “ORIGINE DELL’UNIVERSO E SENSO DELLA CREAZIONE, I CAMPI DI INDAGINE DELLA SCIENZA E DELLA FEDE OGGI”. Il relatore sarà il prof. Ludovico Galleni, professore di Zoologia Generale ed Etica Ambientale presso la facoltà di Agraria dell’ Università di Pisa, che si occupa dei rapporti tra evoluzione cromosomica e speciazione ed è uno dei massimi esperti a livello mondiale di Teilhard de Chardin e della sua opera scientifica.
Come noto la teoria dell'evoluzionismo non è ben vista dalla religione cristiana, o meglio da persone di fede crisitiana che sostengono il creazionismo.
Per un confronto su questo tema, la Diocesi di Livorno ha organizzato un incontro-dibattito venerdì 20 Febbraio presso l'auditorium della Parrocchia di S. Lucia in Antignano (via U. Sarti 89, Livorno).
Il titolo dell'incontro è: “ORIGINE DELL’UNIVERSO E SENSO DELLA CREAZIONE, I CAMPI DI INDAGINE DELLA SCIENZA E DELLA FEDE OGGI”. Il relatore sarà il prof. Ludovico Galleni, professore di Zoologia Generale ed Etica Ambientale presso la facoltà di Agraria dell’ Università di Pisa, che si occupa dei rapporti tra evoluzione cromosomica e speciazione ed è uno dei massimi esperti a livello mondiale di Teilhard de Chardin e della sua opera scientifica.
venerdì 6 febbraio 2009
Emendamento D' Alia
«Art. 50-bis. Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet
1. Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell'interno, in seguito a comunicazione dell'autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l'interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine.
2. Il Ministro dell'interno si avvale, per gli accertamenti finalizzati all'adozione del decreto di cui al comma 1, della polizia postale e delle comunicazioni. Avverso il provvedimento di interruzione è ammesso ricorso all'autorità giudiziaria. Il provvedimento di cui al comma 1 è revocato in ogni momento quando vengano meno i presupposti indicati nel medesimo comma.
3.I fornitori dei servizi di connettività alla rete internet, per l'effetto del decreto di cui al comma 1, devono provvedere ad eseguire l'attività di filtraggio imposta entro il termine di 24 ore. La violazione di tale obbligo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000, alla cui irrogazione provvede il Ministro dell'interno con proprio provvedimento.
4. Entro 60 giorni dalla pubblicazione della presente legge il Ministro dell'interno, con proprio decreto, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con quello della pubblica amministrazione e innovazione,
individua e definisce i requisiti tecnici degli strumenti di filtraggio di cui al comma 1, con le relative soluzioni tecnologiche.
5. Al quarto comma dell'articolo 266 del codice penale, il numero 1) è così sostituito: "col mezzo della stampa, in via telematica sulla rete internet, o con altro mezzo di propaganda".
1. Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell'interno, in seguito a comunicazione dell'autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l'interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine.
2. Il Ministro dell'interno si avvale, per gli accertamenti finalizzati all'adozione del decreto di cui al comma 1, della polizia postale e delle comunicazioni. Avverso il provvedimento di interruzione è ammesso ricorso all'autorità giudiziaria. Il provvedimento di cui al comma 1 è revocato in ogni momento quando vengano meno i presupposti indicati nel medesimo comma.
3.I fornitori dei servizi di connettività alla rete internet, per l'effetto del decreto di cui al comma 1, devono provvedere ad eseguire l'attività di filtraggio imposta entro il termine di 24 ore. La violazione di tale obbligo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000, alla cui irrogazione provvede il Ministro dell'interno con proprio provvedimento.
4. Entro 60 giorni dalla pubblicazione della presente legge il Ministro dell'interno, con proprio decreto, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con quello della pubblica amministrazione e innovazione,
individua e definisce i requisiti tecnici degli strumenti di filtraggio di cui al comma 1, con le relative soluzioni tecnologiche.
5. Al quarto comma dell'articolo 266 del codice penale, il numero 1) è così sostituito: "col mezzo della stampa, in via telematica sulla rete internet, o con altro mezzo di propaganda".
mercoledì 4 febbraio 2009
lunedì 2 febbraio 2009
domenica 1 febbraio 2009
Il Pd salva Cosentino
A proposito di silenzi omertosi, anzi mafiosi: l’altroieri la Camera ha bocciato la mozione dell’opposizione Pd-Idv-Udc che chiedeva gentilmente al governo di “invitare alle dimissioni il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino”, Pdl, accusato da sei pentiti del clan dei Casalesi (come ha rivelato una lunga inchiesta dell’Espresso) e indagato per camorra dalla Dda di Napoli, in quanto “lede gravemente non solo il prestigio del governo, ma anche la dignità del Paese”. La mozione era firmata dai capigruppo del Pd Antonello Soro, dell’Idv Massimo Donadi e dell’Udc Michele Vietti, oltreché dagli on. Sereni, Bressa, Ciriello e Garavini. Quest’ultima, una maestra elementare eletta con gl’italiani all’estero e dunque ignara di cose di mafia, ha illustrato la mozione in aula. Purtroppo però le astensioni e le assenze nelle file del Pd han superato quelle del Pdl e salvato l’ottimo Cosentino.
Mozione respinta con 236 no (Pdl più Lega), 138 sì e 33 astensioni. Decisivi dunque i 26 astenuti Pd (fra i quali Cuperlo, Madia e i radicali), i 47 Pd usciti dall’aula perlopiù solo per quella votazione e poi subito rientrati (compresi Enrico Letta, il ministro molto ombra della Giustizia Lanfranco Tenaglia e perfino Marina Sereni, firmataria della mozione stessa), i 22 Pd assenti ingiustificati (compresi D’Alema, Gentiloni e Veltroni, che sull’Espresso aveva chiesto le dimissioni di Cosentino) e i 2 Pd addirittura contrari (fra cui il tesoriere Ds Ugo Sposetti). Erano troppo impegnati a salvare le istituzioni repubblicane minacciate da un paio di migliaia di persone in piazza Farnese.
Mozione respinta con 236 no (Pdl più Lega), 138 sì e 33 astensioni. Decisivi dunque i 26 astenuti Pd (fra i quali Cuperlo, Madia e i radicali), i 47 Pd usciti dall’aula perlopiù solo per quella votazione e poi subito rientrati (compresi Enrico Letta, il ministro molto ombra della Giustizia Lanfranco Tenaglia e perfino Marina Sereni, firmataria della mozione stessa), i 22 Pd assenti ingiustificati (compresi D’Alema, Gentiloni e Veltroni, che sull’Espresso aveva chiesto le dimissioni di Cosentino) e i 2 Pd addirittura contrari (fra cui il tesoriere Ds Ugo Sposetti). Erano troppo impegnati a salvare le istituzioni repubblicane minacciate da un paio di migliaia di persone in piazza Farnese.
Marco Travaglio
venerdì 30 gennaio 2009
Emergenza Democratica
Intercettazioni sì, ma solo se esistono "gravi indizi di colpevolezza". Dopo la stretta sul badget a disposizione delle procure per pagare l'ascolto di telefoni sospetti ed il limite di due mesi, An, Fi e Lega aggiungono al ddl sicurezza altre limitazioni.
Non è solo una differenza lessicale autorizzare i magistrati all'ascolto se già esistano nei confronti dei sospettati "gravi indizi di colpevolezza" o semplici "indizi di reato", come prevede la normativa in vigore oggi. Esempio: se avviene un omicidio in un condominio, non si potranno mettere sotto controllo tutti gli inquilini ma solo quelli su cui c'è più d'un semplice indizio. E non è poco. L'Associazione nazionale magistrati lancia un allarme: "Con queste modifiche si indebolisce uno strumento investigativo indispensabile per individuare i responsabili di gravi delitti".
E non è tutto: esclusi dall'elenco dei reati per cui saranno autorizzate le intercettazioni, l'insider trading, la manipolazione del mercato azionario, e l'aggiotaggio. I giornalisti che pubblicheranno le intercettazioni saranno puniti con 30 giorni di carcere o con un ammenda dai duemila ai 10mila euro.
Per il resto la norma è sostanzialmente confermata: si potranno intercettare tutti i reati con pene superiori ai cinque anni, più alcune fattispecie già previste nell'attuale Codice di procedura penale come la pornografia minorile, il contrabbando, i delitti contro la pubblica amministrazione e i reati concernenti sostanze stupefacenti e armi. Intercettabili anche i reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, molestia o disturbo delle persone con il mezzo del telefono, lo stalking.
Felice il Guardasigilli Angelino Alfano: "Siamo passati da un vecchio sistema di intercettazioni ad libitum a paletti stringenti che in futuro impediranno abusi e garantiranno la privacy".
Stretta anche sulle riprese televisiva dei processi: finora era concessa anche senza il consenso delle parti purché "esistesse un interesse sociale rilevante". In futuro, le telecamere entreranno a Palazzo di giustizia solo se le parti la consentiranno.
Non è solo una differenza lessicale autorizzare i magistrati all'ascolto se già esistano nei confronti dei sospettati "gravi indizi di colpevolezza" o semplici "indizi di reato", come prevede la normativa in vigore oggi. Esempio: se avviene un omicidio in un condominio, non si potranno mettere sotto controllo tutti gli inquilini ma solo quelli su cui c'è più d'un semplice indizio. E non è poco. L'Associazione nazionale magistrati lancia un allarme: "Con queste modifiche si indebolisce uno strumento investigativo indispensabile per individuare i responsabili di gravi delitti".
E non è tutto: esclusi dall'elenco dei reati per cui saranno autorizzate le intercettazioni, l'insider trading, la manipolazione del mercato azionario, e l'aggiotaggio. I giornalisti che pubblicheranno le intercettazioni saranno puniti con 30 giorni di carcere o con un ammenda dai duemila ai 10mila euro.
Per il resto la norma è sostanzialmente confermata: si potranno intercettare tutti i reati con pene superiori ai cinque anni, più alcune fattispecie già previste nell'attuale Codice di procedura penale come la pornografia minorile, il contrabbando, i delitti contro la pubblica amministrazione e i reati concernenti sostanze stupefacenti e armi. Intercettabili anche i reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, molestia o disturbo delle persone con il mezzo del telefono, lo stalking.
Felice il Guardasigilli Angelino Alfano: "Siamo passati da un vecchio sistema di intercettazioni ad libitum a paletti stringenti che in futuro impediranno abusi e garantiranno la privacy".
Stretta anche sulle riprese televisiva dei processi: finora era concessa anche senza il consenso delle parti purché "esistesse un interesse sociale rilevante". In futuro, le telecamere entreranno a Palazzo di giustizia solo se le parti la consentiranno.
(Repubblica.it)
E, ahimè, non è finita qui... Il governo ha presentato anche un ddl per far, de facto, diventare governativa anche la Magistratura Contabile. Siamo allo sfascio, la nostra Democrazia non ha più senso compiuto.
lunedì 26 gennaio 2009
giovedì 22 gennaio 2009
lunedì 19 gennaio 2009
Il C.S.M e le regole di correttezza
Si è tenuta sabato (il 17 gennaio) al C.S.M. una udienza del procedimento a carico, fra gli altri, dei magistrati di Salerno.
Molte cose sono state già dette (cfr da ultimo l’articolo di Felice Lima “Il C.S.M. da garante a carnefice dell’indipendenza dei magistrati”) e molte altre ce ne sono ancora da dire su quello che sta facendo il C.S.M. in quella vicenda. Il C.S.M. che pretende di essere difeso dagli attacchi della politica, perchè dovrebbe essere il garante della nostra indipendenza, mentre, invece, appare con sempre più evidenza un prezioso alleato della politica contro l’indipendenza dei magistrati.
Qui vorremmo intanto riferire di un episodio che appare davvero sintomatico di cosa sta accadendo al C.S.M..
I difensori dei magistrati di Salerno (i colleghi Stefano Racheli e Nicola Saracino) hanno chiesto che l’udienza fosse pubblica, ritenendo che questo fosse ciò che la legge prescrive e considerando, peraltro, questo uno strumento di controllo democratico su ciò che fa il C.S.M..
L’istanza con la sua motivazione può essere letta a questo link.
Il C.S.M. ha rigettato questa istanza.
Dunque, per decisione della Sezione Disciplinare l’udienza di sabato è stata trattata come “non pubblica”.
E’ accaduto, però, che, con cadenza di una certa regolarità (ogni tot decine di minuti), una persona usciva dal C.S.M. in piazza Indipendenza e raccontava ai giornalisti che lo attendevano in strada ciò che accadeva all’interno.
Di questo fatto sono prova le testimonianze di alcuni lettori di questo blog (persone, ovviamente, con nome e cognome) che stavano fuori e hanno sentito la gran parte di ciò che la persona in questione diceva ai giornalisti e il fatto che durante tutta la giornata di ieri sono usciti lanci delle varie agenzie di stampa che riferivano - in tempo reale - notizie che potevano essere note solo a chi fosse dentro il C.S.M..
Dunque, divieto di pubblicità dell’udienza, così che le notizie non erano quelle oggettive che si sarebbero avute con la pubblicità dell’udienza, ma quelle che poi sono filtrate con il metodo delle “veline” ai giornalisti in piazza.
Questo accade al C.S.M.!
E si aggiunge alla prof. Vacca che anticipa i giudizi a reti unificate e al Vicepresidente Mancino che viola illecitamente il segreto della camera di consiglio, comunicando a tutti i giornalisti che la sentenza contro Luigi De Magistris è stata decisa all’unanimità.
Per evitare che i consiglieri del C.S.M. possano avere alibi per non adottare i provvedimenti doverosi a fronte di ciò che abbiamo appena riferito, riportiamo qui sopra la fotografia della persona che usciva dal C.S.M. a informare i giornalisti, persona che pare si chiamasse “Guido”, ma che, in ogni caso, qualunque componente del C.S.M. potrà identificare nella foto qui sopra (cliccando sulla foto, se ne aprirà una versione molto ingrandita).
Il collega Racheli ha formalizzato nell’udienza odierna dinanzi al C.S.M. la denuncia di questo fatto. Ove i Consiglieri del C.S.M. intendessero fare qualcosa con riferimento a quanto accaduto, daremo immediatamente loro i nomi dei testimoni del fatto.
Frattanto, a riprova di “chi fa il gioco di chi”, sulla vicenda di Salerno vige la più rigorosa censura di stampa.
Nessun giornale ha dato la notizia della conferma del decreto di Salerno da parte del Tribunale del riesame. Nessun giornale, ovviamente, riferisce in termini di una qualche verosimiglianza e correttezza quanto accaduto nelle udienze dinanzi al C.S.M., raccontate ad uso del potere.
da Toghe.blogspot
giovedì 15 gennaio 2009
Vizi privati, pubbliche virtù
«Basta assenteismo!», tuona da mesi la destra, nella scia del ministro Renato Brunetta. Giusto: al di là di certe forzature, è una battaglia che andava fatta. Ieri mattina però, a Strasburgo, il Pdl ha perso l’occasione per dare un segnale di coerenza. E si è schierato in massa contro una risoluzione, approvata a schiacciante maggioranza, che impegna il Parlamento europeo a mettere online le presenze degli eurodeputati per smascherare gli assenteisti.
Sono anni che sul tema della svogliatezza con cui i nostri deputati partecipano ai lavori dell’assemblea di Strasburgo si accendono improvvise fiammate polemiche. Tanto più per il contrasto abbagliante tra questa svogliatezza e le spettacolari buste paga che incassano. Basti rileggere la tabella dell’indennità di base pubblicata ne Il costo della democrazia da Cesare Salvi e Massimo Villone: un parlamentare polacco prende 28.056 euro, uno spagnolo 39.463, uno svedese 61.704, un francese 63.093, un britannico 82.380, un tedesco 84.108, un italiano 149.215. Quindici volte più di un ungherese, tre volte più di un portoghese, una volta e mezza più dell’austriaco, secondo classificato. E non basta: alla retribuzione base vanno aggiunti i benefit e le indennità di spese generali, di soggiorno, di viaggio e quelle per i portaborse che portano il totale, nel caso degli italiani, a una cifra fra i 30.000 e i 35.000 euro. Un sacco di soldi.
La seconda sede del Parlamento Europeo, a Bruxelles (foto A. Sala)Il guaio è che i nostri europarlamentari non sono solo i più pagati. Sono anche, tradizionalmente, i più assenteisti di tutto il continente. Lo ricorda un’inchiesta dell’Europeo del ’93, dove si raccontava che in tutto l’anno precedente il pidiessino Achille Occhetto non aveva partecipato neppure a una seduta, il dc Antonio Jodice a 3, il Psdi Antonio Cariglia a 4, la rifondarola Dacia Valent a 7 e così via... Lo ribadiscono i reportage del Giornale del 1997 (occhiello ironico: «sulle tracce del nostri eurodeputati») o de l’Espresso del 2001: «Su 87 europarlamentari italiani, 26 hanno partecipato a meno di metà delle centouno sessioni plenarie, 15 non hanno mai preso la parola in aula, 27 hanno partecipato a meno del 20% delle sedute della propria commissione, 13 non hanno mai presentato un’interrogazione... ».
Nel 2004 l’Università tedesca di Duisburg si prese la briga di elaborare uno studio capillare sulla legislatura che si chiudeva: alle sessioni di voto la presenza italiana era stata del 56,2%, contro l’80,9 dei greci o l’82,5% dei tedeschi. Un’inchiesta delle Acli dava dati leggermente diversi, ma non meno disastrosi: ai primi posti per presenze c’erano i parlamentari finlandesi (89,5%), belgi (89,3%), olandesi (88,7%) e gli ultimi, come sempre, erano i nostri, col 68,6%: tredici punti sotto i penultimi, che risultavano francesi col 79,5%.
E adesso? Boh... Scottati dai dati che svergognavano gli eletti all’assemblea, i depositari delle informazioni sono diventati via via più avari di notizie. Al punto che quando l’eurodeputato radicale Marco Cappato, in ottobre, chiese ufficialmente di vedere le tabelle delle presenze per fare luce sulla realtà dopo mille polemiche (come quella che aveva visto Renato Brunetta, accusato da un sito Internet di essere stato lui pure un po’ discolo a Strasburgo, fare fuoco e fiamme spiegando di avere partecipato negli ultimi anni al 66,9% delle sedute) il segretario generale Harald Rømer gli rispose picche: poteva chiedere solo i dati suoi. Fine: «Non esiste alcun documento consolidato che riporti il numero totale di presenze per deputato alle diverse riunioni ufficiali» e il regolamento «non obbliga in alcun modo le Istituzioni a creare documenti per rispondere ad una richiesta».
Una risposta burocraticamente impeccabile, ma politicamente reticente. Ricevuta la quale il parlamentare, convinto che le democrazie «basate sulla preminenza del diritto sono tenute all’osservanza del principio della pubblicità», ha presentato una risoluzione per impegnare l’Europarlamento alla massima trasparenza. Quello centrale è il punto 5. Che sprona a «varare, prima delle elezioni europee del 2009, un piano d’azione speciale per assicurare sul proprio sito web, ad esempio nel quadro dell’iniziativa e-Parlamento, una maggiore e più agevole disponibilità di informazioni». Gli obiettivi nel mirino sono soprattutto due. Primo: «attività, partecipazione e presenza dei deputati europei ai lavori parlamentari in termini assoluti, relativi e percentuali, rendendo tali dati disponibili ed accessibili ai cittadini anche mediante criteri di ricerca». Secondo: «le indennità e le spese dei deputati, conformemente alla posizione assunta dal Mediatore», cioè il difensore civico europeo, «nonché tutte le dichiarazioni di interessi finanziari per tutti i deputati al PE, e tali informazioni sono rese disponibili in tutte le lingue ufficiali dell’UE ».
Bene: la risoluzione è passata. Con una maggioranza larghissima: 355 voti a favore, 195 contrari, 18 astenuti. Evviva. Ma è la lettura degli elenchi di come hanno votato questo e quel parlamentare a essere particolarmente istruttiva. Il centro- sinistra italiano, memore della legnata alle elezioni di aprile dove lasciò che il tema dei tagli ai costi della politica fosse impugnato dalla destra, è stato infatti compatto: dagli ex margheritini ai comunisti al cane sciolto Gianni Rivera. Tutti favorevoli e nessun contrario. La destra, invece, si è spaccata. E se i leghisti Erminio «Obelix» Boso e Mario Borghezio hanno votato a favore della trasparenza insieme coi «neri» Roberto Fiore e Luca Romagnoli, il «pensionato» Carlo Fatuzzo, il ciellino Mario Mauro e Jas Gawronski, i rappresentanti del Pdl si sono massicciamente trincerati sul no. Sia i forzisti berlusconiani (dall’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, da Guido Podestà a Elisabetta Gardini, da Lia Sartori fino a Beppe Gargani) sia i nazional- alleati Roberta Angelilli, Domenico Basile, Sergio Berlato, Antonio Mussa, Nello Musumeci, Salvatore Tatarella. Potete scommettere che oggi diranno in coro che no, il loro voto contro la risoluzione per la massima trasparenza non era contro la massima trasparenza e a favore del top-secret sugli assenteisti e che aveva delle serissime motivazioni e che la sinistra è stata compatta solo per motivi strumentali eccetera eccetera eccetera. Ma il punto resta: che messaggio arriva agli italiani, dopo mesi di furenti invettive contro l’assenteismo altrui?
Sono anni che sul tema della svogliatezza con cui i nostri deputati partecipano ai lavori dell’assemblea di Strasburgo si accendono improvvise fiammate polemiche. Tanto più per il contrasto abbagliante tra questa svogliatezza e le spettacolari buste paga che incassano. Basti rileggere la tabella dell’indennità di base pubblicata ne Il costo della democrazia da Cesare Salvi e Massimo Villone: un parlamentare polacco prende 28.056 euro, uno spagnolo 39.463, uno svedese 61.704, un francese 63.093, un britannico 82.380, un tedesco 84.108, un italiano 149.215. Quindici volte più di un ungherese, tre volte più di un portoghese, una volta e mezza più dell’austriaco, secondo classificato. E non basta: alla retribuzione base vanno aggiunti i benefit e le indennità di spese generali, di soggiorno, di viaggio e quelle per i portaborse che portano il totale, nel caso degli italiani, a una cifra fra i 30.000 e i 35.000 euro. Un sacco di soldi.
La seconda sede del Parlamento Europeo, a Bruxelles (foto A. Sala)Il guaio è che i nostri europarlamentari non sono solo i più pagati. Sono anche, tradizionalmente, i più assenteisti di tutto il continente. Lo ricorda un’inchiesta dell’Europeo del ’93, dove si raccontava che in tutto l’anno precedente il pidiessino Achille Occhetto non aveva partecipato neppure a una seduta, il dc Antonio Jodice a 3, il Psdi Antonio Cariglia a 4, la rifondarola Dacia Valent a 7 e così via... Lo ribadiscono i reportage del Giornale del 1997 (occhiello ironico: «sulle tracce del nostri eurodeputati») o de l’Espresso del 2001: «Su 87 europarlamentari italiani, 26 hanno partecipato a meno di metà delle centouno sessioni plenarie, 15 non hanno mai preso la parola in aula, 27 hanno partecipato a meno del 20% delle sedute della propria commissione, 13 non hanno mai presentato un’interrogazione... ».
Nel 2004 l’Università tedesca di Duisburg si prese la briga di elaborare uno studio capillare sulla legislatura che si chiudeva: alle sessioni di voto la presenza italiana era stata del 56,2%, contro l’80,9 dei greci o l’82,5% dei tedeschi. Un’inchiesta delle Acli dava dati leggermente diversi, ma non meno disastrosi: ai primi posti per presenze c’erano i parlamentari finlandesi (89,5%), belgi (89,3%), olandesi (88,7%) e gli ultimi, come sempre, erano i nostri, col 68,6%: tredici punti sotto i penultimi, che risultavano francesi col 79,5%.
E adesso? Boh... Scottati dai dati che svergognavano gli eletti all’assemblea, i depositari delle informazioni sono diventati via via più avari di notizie. Al punto che quando l’eurodeputato radicale Marco Cappato, in ottobre, chiese ufficialmente di vedere le tabelle delle presenze per fare luce sulla realtà dopo mille polemiche (come quella che aveva visto Renato Brunetta, accusato da un sito Internet di essere stato lui pure un po’ discolo a Strasburgo, fare fuoco e fiamme spiegando di avere partecipato negli ultimi anni al 66,9% delle sedute) il segretario generale Harald Rømer gli rispose picche: poteva chiedere solo i dati suoi. Fine: «Non esiste alcun documento consolidato che riporti il numero totale di presenze per deputato alle diverse riunioni ufficiali» e il regolamento «non obbliga in alcun modo le Istituzioni a creare documenti per rispondere ad una richiesta».
Una risposta burocraticamente impeccabile, ma politicamente reticente. Ricevuta la quale il parlamentare, convinto che le democrazie «basate sulla preminenza del diritto sono tenute all’osservanza del principio della pubblicità», ha presentato una risoluzione per impegnare l’Europarlamento alla massima trasparenza. Quello centrale è il punto 5. Che sprona a «varare, prima delle elezioni europee del 2009, un piano d’azione speciale per assicurare sul proprio sito web, ad esempio nel quadro dell’iniziativa e-Parlamento, una maggiore e più agevole disponibilità di informazioni». Gli obiettivi nel mirino sono soprattutto due. Primo: «attività, partecipazione e presenza dei deputati europei ai lavori parlamentari in termini assoluti, relativi e percentuali, rendendo tali dati disponibili ed accessibili ai cittadini anche mediante criteri di ricerca». Secondo: «le indennità e le spese dei deputati, conformemente alla posizione assunta dal Mediatore», cioè il difensore civico europeo, «nonché tutte le dichiarazioni di interessi finanziari per tutti i deputati al PE, e tali informazioni sono rese disponibili in tutte le lingue ufficiali dell’UE ».
Bene: la risoluzione è passata. Con una maggioranza larghissima: 355 voti a favore, 195 contrari, 18 astenuti. Evviva. Ma è la lettura degli elenchi di come hanno votato questo e quel parlamentare a essere particolarmente istruttiva. Il centro- sinistra italiano, memore della legnata alle elezioni di aprile dove lasciò che il tema dei tagli ai costi della politica fosse impugnato dalla destra, è stato infatti compatto: dagli ex margheritini ai comunisti al cane sciolto Gianni Rivera. Tutti favorevoli e nessun contrario. La destra, invece, si è spaccata. E se i leghisti Erminio «Obelix» Boso e Mario Borghezio hanno votato a favore della trasparenza insieme coi «neri» Roberto Fiore e Luca Romagnoli, il «pensionato» Carlo Fatuzzo, il ciellino Mario Mauro e Jas Gawronski, i rappresentanti del Pdl si sono massicciamente trincerati sul no. Sia i forzisti berlusconiani (dall’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, da Guido Podestà a Elisabetta Gardini, da Lia Sartori fino a Beppe Gargani) sia i nazional- alleati Roberta Angelilli, Domenico Basile, Sergio Berlato, Antonio Mussa, Nello Musumeci, Salvatore Tatarella. Potete scommettere che oggi diranno in coro che no, il loro voto contro la risoluzione per la massima trasparenza non era contro la massima trasparenza e a favore del top-secret sugli assenteisti e che aveva delle serissime motivazioni e che la sinistra è stata compatta solo per motivi strumentali eccetera eccetera eccetera. Ma il punto resta: che messaggio arriva agli italiani, dopo mesi di furenti invettive contro l’assenteismo altrui?
G.A. Stella
mercoledì 14 gennaio 2009
Berlusconi statista (Francese) dell' anno
«Merci Silvio». Grazie Silvio, l'ironia è tagliente sin dal titolo. Per la stampa francese la soluzione del lungo inseguimento ad Alitalia si è trasformata quasi in una marcia trionfale per Air France-Klm e per il suo «caparbio» timoniere, Jean-Cyrill Spinetta. Grazie soprattutto all'intervento di Silvio Berlusconi.
Il premier italiano, si legge in un editoriale del quotidiano economico transalpino, firmato da François Vidal, sarebbe il principale protagonista della trasformazione di un avventura pericolosa in un buon affare per la compagnia francese. Come? Grazie all'affossamento della precedente offerta, apprezzata e avallata dal governo di Romano Prodi, e ben più dispendiosa per i transalpini. «Ci si può domandare - scrive il quotidiano - se Silvio Berlusconi non abbia reso un ottimo servizio nell'aprile del 2008 contribuendo ad affossare la precedente proposta di acquisto di Alitalia da parte di Air France, per 1,5 miliardi di euro, in nome dell'italianità».
Non è solo una questione di prezzo, anche se spendere 300 milioni per il 25% della compagnia italiana invece di 1,5 miliardi di euro non è certo un risultato di poco conto. Il fatto più importante, per il giornale francese, è che Alitalia non è più la compagnia colabrodo di pochi mesi fa: «Alitalia - si legge - ha già operato una parte importante della propria ristrutturazione. Non perde più un miliardo di euro al giorno, si è liberata dai propri debiti (accollandoli allo Stato, ndr) e si è rafforzata sul mercato nazionale grazie alla fusione con AirOne».
Il premier italiano, si legge in un editoriale del quotidiano economico transalpino, firmato da François Vidal, sarebbe il principale protagonista della trasformazione di un avventura pericolosa in un buon affare per la compagnia francese. Come? Grazie all'affossamento della precedente offerta, apprezzata e avallata dal governo di Romano Prodi, e ben più dispendiosa per i transalpini. «Ci si può domandare - scrive il quotidiano - se Silvio Berlusconi non abbia reso un ottimo servizio nell'aprile del 2008 contribuendo ad affossare la precedente proposta di acquisto di Alitalia da parte di Air France, per 1,5 miliardi di euro, in nome dell'italianità».
Non è solo una questione di prezzo, anche se spendere 300 milioni per il 25% della compagnia italiana invece di 1,5 miliardi di euro non è certo un risultato di poco conto. Il fatto più importante, per il giornale francese, è che Alitalia non è più la compagnia colabrodo di pochi mesi fa: «Alitalia - si legge - ha già operato una parte importante della propria ristrutturazione. Non perde più un miliardo di euro al giorno, si è liberata dai propri debiti (accollandoli allo Stato, ndr) e si è rafforzata sul mercato nazionale grazie alla fusione con AirOne».
martedì 13 gennaio 2009
Governaccio
Cresce il debito pubblico italiano. Intanto, al di là dello scontro sulle procedure, dall'agenzia di rating Standard and Poor's arriva una doccia gelata sull'effettiva possibilità di manovra del governo per contrastare la recessione. S&P si attende nel 2009 che il debito pubblico italiano raggiunga il 109% del Prodotto interno lordo, pari a quattro volte il valore medio della categoria di rating "A". "Secondo S&P - si legge in una nota - questo consistente livello del debito frena la possibilità per il governo di fornire supporto all'economia italiana nell'attuale periodo di recessione. La limitata flessibilità fiscale del governo è dimostrata dalla crescente spesa per interessi, che S&P si attende possa raggiungere nel 2009 circa il 12% delle entrate dello Stato".
E menomale che abbiano risparmiato su Alitalia! Grazie CentroDestra!
E menomale che abbiano risparmiato su Alitalia! Grazie CentroDestra!
Priapismo dell'Io
Benedetto Croce, coltissimo e ricco signore con largo ascendente nella cultura novecentesca, aveva manifestato qualche vaga simpatia al fascismo emergente, castigatore delle mattane sovversive, ma cambia avviso vedendo come il castigamatti s'impadronisca dello Stato, in barba all'etica liberale.
Da allora impersona un implicito dissenso, rispettato dagli occupanti perché ogni soperchieria sul papa dell'idealismo italiano guasterebbe l'immagine fascista; Mussolini non è Hitler. I numeri bimestrali della "Critica" hanno devoti lettori, bollettino d'una sommessa opposizione. Privatamente circolano battute spiritose. Sentiamone una, cosa sia il regime mussoliniano: un governo degli asini "temperato dalla corruzione". Era formidabile conversatore, spesso feroce, ad esempio nell'arrotare un ex pupillo rumoroso e rampante diagnosticandogli "priapismo dell'Io". Varrà la pena spiegare in qual senso sia peggiore l'attuale governo onagrocratico (dal latino "onager", asino selvatico). Qui notiamo come la natura asinina sfolgori nel protocollo d'intesa 26 novembre 2008: i partner sono due ministri; lo scassasigilli era segretario particolare del sire d'Arcore, padrone d'Italia nei prossimi 12 o 17 anni se gli spiriti animali gli durano; l'altro, ministro innovatore dalle frequenti epifanie, ha appena annunciato che domerà gli statali col bastone e la carota. I due s'intendono sul seguente disegno: allestire una memoria informatica universale dove confluiscano tutti gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria (il grosso delle indagini preliminari); e la covi il ministro, eventualmente mediante appalti esterni (in lessico tecnicoide outsourcing); why not? (logo d'un allegro affarismo), l'affidi a imprenditori della galassia Mediaset, visti i luminosi precedenti Telecom.
Il lettore domanda perché definiamo asinina un'idea sinistra (tra Gestapo e Millenovecentottantaquattro, l'incubo narrato da George Orwell): l'asino è animale mite; vero, ma ignorante e luoghi comuni probabilmente falsi lo dicono poco intelligente. Qui sta l'aspetto onagrocratico, e tutto sommato benefico, svela piani che menti più sottili dissimulano. Sappiamo dove miri Re Lanterna, tre volte vittorioso nella fiera elettorale grazie all'ordigno televisivo che consorterie tarate gli hanno venduto: pretende nello Stato un dominio quale esercitava nell'impero privato (e presumibilmente lo esercita, essendo piuttosto anomala la metamorfosi dei vecchi pirati in asceti); i limiti normativi gli ripugnano; caudatari in divisa o pseudoneutrali chiamano "decisioni" gesti padronali nemmeno pensabili in chiave politica. Gli sta a pennello la definizione crociana (priapismo dell'Io), con una terribile differenza in peius: quel letterato era persona d'intelletto fine, narciso inoffensivo, acuto patologo del fascismo; lui no, ha plagiato parte d'Italia e vuol comandarla tutta, attraverso l'abbassamento dei livelli mentali.
Appena rimesso piede al governo, s'è proclamato immune dai processi penali, quindi invulnerabile su ogni episodio passato o futuro, qualunque sia il nomen delicti; i suoi piani escludono futuri rendiconti elettorali pericolosi, ma l'organismo collettivo ha ancora difese immunitarie (Carta, leggi, codici, tribunali, magistratura); e volendole disarmare, blatera d'una giustizia da riformare, l'ultima cosa della quale occuparsi mentre il paese va in malora, affogato nella crisi planetaria, e lui s'ingrassa. Aborre l'azione penale obbligatoria e il pubblico ministero indipendente: lo vuole diretto dal governo; il che significherebbe impunità pro se et suis, con duri colpi all'avversario molesto. Tale l'obiettivo ma l'idea è cruda: gliela contestano anche degli alleati; e i negromanti indicano una via indiretta, meno vistosa, lasciare intatto l'ufficio requirente, affidando le indagini alla polizia, diretta dal potere esecutivo.
Quante volte l'ha detto: diventerà avvocato dell'accusa, ridotto alla performance verbale o grafica; cervelli polizieschi investigano e la relativa mano raccoglie le prove (sotto l'occhio governativo). A quel punto sarà innocua la bestia nera. Il tutto sine strepitu: due o tre ritocchi appena visibili; se vi osta l'art. 109 Cost. ("l'autorità giudiziaria dispone direttamente" dell'omonima polizia), basta toglierselo dai piedi; l'art. 138 ammette delle revisioni; nelle due Camere se la combina quando vuole, avendo i numeri; e poco male fosse richiesto un referendum confermativo. Nessuno gli resiste nelle tempeste mediatiche. Con tre reti televisive vola sulla luna.
Riconsideriamo l'aspetto asinino. Il protocollo 26 novembre 2008 grida quel che Talleyrand e Fouché, molto più fini, terrebbero sub rosa, e lo fa in termini grossolani, ignari dell'elementare grammatica legale. Non è materia disponibile mediante circolari o intese ministeriali. La regolano norme codificate: la documentazione degli atti d'indagine avviene in date forme (art. 373); e sono coperti dal segreto finché "l'imputato non ne possa avere conoscenza" (art. 329); e la polizia deve spogliarsi dei verbali, reperti, notitiae criminis, trasmettendoli al pubblico ministero (art. 357). Secondo le attuali regole, i due confabulanti esigono dei delitti dalla polizia (artt. 326, 379-bis, 621 c. p.). E chi escogita questo serbatoio penale, violabile dagli hackers ma comodo in mano al ministro e servizi segreti? I campioni della privacy, furenti quando, straparlando al telefono, finiscono nella memoria acustica corruttori, corrotti, concussori, pirati societari e simili faune.
FRANCO CORDERO
lunedì 12 gennaio 2009
Capolinea. Addio Repubblica Democratica
CI sono molti modi per dare avvio a una riforma della giustizia. La si può discutere in pubblico come accade ancora in questi giorni o inaugurare in silenzio nuovi, possibili controlli del governo sull'ordine giudiziario a dispetto di ogni autonomia e indipendenza togata. Si manipola qualche inciso nei codici, si sposta una virgola di un articolo di legge e il pubblico ministero può perdere la direzione delle indagini e della polizia giudiziaria (lo si è già visto). O - nome di una necessaria rivoluzione tecnologica - si possono sottrarre addirittura la "proprietà" e le informazioni dei fascicoli processuali al pubblico ministero e al giudice delle indagini preliminari.
È quel che può avvenire, nei prossimi giorni, quando entrerà nella sua fase di sperimentazione (nel primo trimestre a Napoli, nel secondo a Nola e Torre Annunziata, entro il quarto a Milano e Monza) il protocollo d'intesa firmato il 26 novembre 2008 tra il ministro per l'innovazione (Renato Brunetta) e della giustizia (Angelino Alfano). L'articolo 7 del protocollo prevede la "trasmissione telematica delle notizie di reato tra le forze di polizia e procure della Repubblica".
"Il progetto - si legge nel documento - prevede che le forze di polizia giudiziaria redigano le notizie di reato, le digitalizzino, le trasmettano alle procure, firmate digitalmente e crittografate nell'ambito della rete privata delle forze di polizia con specifiche estensioni di rete che potranno avere anche ulteriori utilizzazioni sinergiche".
Si può così "automatizzare l'alimentazione del registro delle notizie di reato e la costituzione del fascicolo del pubblico ministero e del giudice delle indagini preliminari". I dati così raccolti potranno essere condivisi dall'intera rete delle forze di polizia che avranno accesso ai "dati di sintesi delle notizie di reato". Come? "Predisponendo una porta di dominio attestata presso il ministero della giustizia". La "porta di dominio" è una formula che appare misteriosa ai non addetti, ma non indica altro che il luogo e l'identità di chi assicura lo scambio elettronico delle informazioni.
Ricapitoliamo. Tutte le notizie di reato del paese, i fascicoli dei pubblici ministeri, le comunicazioni tra polizia giudiziaria e pubblico ministero, tra pubblico ministero e giudice delle indagini preliminari di ogni tribunale italiano e quindi le denunce, le querele, le istanze e i verbali degli interrogatori, delle perquisizioni, dei sequestri, delle sommarie informazioni assunte, degli accertamenti tecnici, delle intercettazioni saranno (a regime) interconnesse attraverso un "gestore centrale" organizzato e controllato dal ministero di giustizia che - prevede il protocollo - può concederlo a un fornitore esterno, in outsourcing. Nascerà, dunque, come spiega un addetto al progetto, "una cancelleria virtuale nazionale" al momento priva di ogni norma, disposizione o regolamento. Questa è la notizia.
Vediamone le conseguenze probabili e gli effetti possibili. Sono indubbi i benefici a vantaggio dell'efficienza del processo. La rivoluzione tecnologica consente al pubblico ministero, al giudice, alla cancelleria di formare, di comunicare e notificare gli atti con documenti informatici che viaggiano tra gli attori del processo attraverso canali telematici, come avverrà presto per il processo civile. Via archivi cartacei e i "muri" di faldoni. Azzerati gli errori di notifica che annientano i processi. Abbattuti i costi. Recuperato personale. Ridotti i tempi. L'efficienza e quindi la credibilità del processo penale non potrà che avvantaggiarsene. E' la rivoluzione necessaria che gli addetti, tutti, dagli avvocati ai magistrati, chiedono da anni. Saranno soddisfatti. Meno lo sarà - o dovrà esserlo - chi si pone questa domanda: come e chi proteggerà quella miniera di informazioni? Quanto sarà inviolabile il sistema? E' legittimo che l'intera "base dati" della giustizia italiana sia gestita non dall'amministrazione giudiziaria, cioè dalla magistratura, ma da funzionari e società private dipendenti dal governo o dalle sue decisioni?
Un addetto al progetto, nato con il governo Berlusconi 2001/2006, è disposto ad ammettere che qualche problema c'è. "I responsabili degli uffici giudiziari, i procuratori della repubblica, dovrebbero essere in grado di esercitare un controllo agevole delle misure di sicurezza, ma se le base dati sono in una farm lontana, non si può avere la possibilità di effettuare monitoraggi continui. Quale responsabile della segretezza di quelle informazioni può escludere che, lontano dal suo ufficio, venga allestito un terminale del programma per l'accesso alla lettura dei dati? La sola risposta responsabile e ragionevole è: nessuno. La sicurezza è data da misure preventive e controlli costanti. Senza controllo, non c'è misura preventiva che possa tenere. E quale controllo puoi avere se sei a centinaia di chilometri di distanza?". Per alcuni autorevoli magistrati del pubblico ministero, quest'idea di una "cancelleria virtuale nazionale", prima di essere pericolosa, è soprattutto contra legem, illegale. "Il codice di procedura penale - dice un autorevole magistrato - prevede esplicitamente e senza deroghe che ogni "notizia di reato e la documentazione relativa alle indagini siano conservati in un apposito fascicolo presso l'ufficio del pubblico ministero con gli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria". Se dovesse nascere una cancelleria nazionale, anche se virtuale, si scipperebbe la proprietà esclusiva del fascicolo al pubblico ministero: è contro al legge". Si dice d'accordo l'addetto al progetto ministeriale: "E' vero che ogni notizia trasmessa e raccolta sarà criptata con la chiave pubblica del procuratore, ma le informazioni sono archiviate in un luogo non alle dipendenze del procuratore, ma della forza di polizia e quindi nessun efficace e reale controllo può esercitarsi sulla protezione della segretezza dell'archivio".
E' la questione cruciale, pare. Con una qualche coerenza, Berlusconi e il suo ministro non tacciono di voler trasferire l'avvio, lo sviluppo e l'esito dell'investigazione penale dalle mani del pubblico ministero alle polizie. La rivoluzione tecnologica potrebbe consentire di assicurare alle polizie, e quindi all'esecutivo, anche il controllo di tutte le informazioni, delle notizie di reato, di tutta la documentazione di ogni indagine avviata nei ventinove distretti giudiziari del paese. Un Grande Fratello della giustizia italiana, si può dire, che dovrebbe essere sconfitto o tenuto lontano soltanto dalla "chiave" con cui i procuratori della repubblica dovranno crittografare i documenti. Se si chiede ad Alberto Berretti, matematico, professore di sicurezza informatica a Tor Vergata - dunque con una familiarità con il mondo e i metodi dell'hackeraggio - se una "chiave" per crittografare i documenti può essere una protezione definitiva, si raccoglie un sorriso ironico. "Nessun sistema è sicuro.
Questo progetto del ministero di giustizia, per come me lo racconta, mi pare che faccia acqua. Innanzi tutto è pericoloso avere un solo server in un solo luogo. Se scoppia un incendio e tutto va in fumo, che succede? Si liquefa la giustizia italiana? Sono sicuro che abbiano tenuto conto di quest'eventualità e previsto due server e in due luoghi diversi, con il botto di danaro che costa, perché sicurezza significa prevedere che le cose possono anche andare male per caso. Poi il diavolo ci può mettere la coda e anche questo bisogna immaginare e la "chiave" non è la soluzione che risolve tutti i problemi. La crittografia rischia di essere una porta blindata sistemata su pareti di cartone. E' vero, è difficile rompere la porta, ma è facile aggirarla passando dalle pareti. Oggi i dvd sono cifrati, ma in rete ci sono a tonnellate di dvd craccati, per dire. E poi oggi ci sono programmi di keylogging che copiano in silenzio quanto viene scritto sulla tastiera del computer. Il procuratore magari chiude la porta dell'ufficio e digita la sua "chiave" di accesso crittografato. Pensa di essere solo e sicuro, invece c'è chi gli sta rubando in quel momento la chiave per consegnarla a cyber- criminali che la venderanno al maggior offerente. E se a vincere l'asta dovesse essere Cosa Nostra? Può stare certo che, se questa cancelleria virtuale dovesse davvero farsi, sarà un boccone ghiottissimo per ogni hacker del pianeta".
Dunque, lo stato dell'arte è questo. Tutti i documenti d'indagine della giustizia italiana finiranno presto in un unico canestro. I procuratori, responsabili delle indagini, non saranno in grado di garantire la sicurezza delle informazioni raccolte. L'archivio della "cancelleria virtuale" sarà nella disponibilità delle forze di polizia, e quindi del governo che gestirà il sistema attraverso una società privata (altra minaccia, se si ricordano i traffici spionistici della Telecom di Marco Tronchetti Provera). Quel che è peggio, anche Cosa Nostra potrà ficcarci il naso, pagando il dovuto. Voi dite che stiamo messi bene?
È quel che può avvenire, nei prossimi giorni, quando entrerà nella sua fase di sperimentazione (nel primo trimestre a Napoli, nel secondo a Nola e Torre Annunziata, entro il quarto a Milano e Monza) il protocollo d'intesa firmato il 26 novembre 2008 tra il ministro per l'innovazione (Renato Brunetta) e della giustizia (Angelino Alfano). L'articolo 7 del protocollo prevede la "trasmissione telematica delle notizie di reato tra le forze di polizia e procure della Repubblica".
"Il progetto - si legge nel documento - prevede che le forze di polizia giudiziaria redigano le notizie di reato, le digitalizzino, le trasmettano alle procure, firmate digitalmente e crittografate nell'ambito della rete privata delle forze di polizia con specifiche estensioni di rete che potranno avere anche ulteriori utilizzazioni sinergiche".
Si può così "automatizzare l'alimentazione del registro delle notizie di reato e la costituzione del fascicolo del pubblico ministero e del giudice delle indagini preliminari". I dati così raccolti potranno essere condivisi dall'intera rete delle forze di polizia che avranno accesso ai "dati di sintesi delle notizie di reato". Come? "Predisponendo una porta di dominio attestata presso il ministero della giustizia". La "porta di dominio" è una formula che appare misteriosa ai non addetti, ma non indica altro che il luogo e l'identità di chi assicura lo scambio elettronico delle informazioni.
Ricapitoliamo. Tutte le notizie di reato del paese, i fascicoli dei pubblici ministeri, le comunicazioni tra polizia giudiziaria e pubblico ministero, tra pubblico ministero e giudice delle indagini preliminari di ogni tribunale italiano e quindi le denunce, le querele, le istanze e i verbali degli interrogatori, delle perquisizioni, dei sequestri, delle sommarie informazioni assunte, degli accertamenti tecnici, delle intercettazioni saranno (a regime) interconnesse attraverso un "gestore centrale" organizzato e controllato dal ministero di giustizia che - prevede il protocollo - può concederlo a un fornitore esterno, in outsourcing. Nascerà, dunque, come spiega un addetto al progetto, "una cancelleria virtuale nazionale" al momento priva di ogni norma, disposizione o regolamento. Questa è la notizia.
Vediamone le conseguenze probabili e gli effetti possibili. Sono indubbi i benefici a vantaggio dell'efficienza del processo. La rivoluzione tecnologica consente al pubblico ministero, al giudice, alla cancelleria di formare, di comunicare e notificare gli atti con documenti informatici che viaggiano tra gli attori del processo attraverso canali telematici, come avverrà presto per il processo civile. Via archivi cartacei e i "muri" di faldoni. Azzerati gli errori di notifica che annientano i processi. Abbattuti i costi. Recuperato personale. Ridotti i tempi. L'efficienza e quindi la credibilità del processo penale non potrà che avvantaggiarsene. E' la rivoluzione necessaria che gli addetti, tutti, dagli avvocati ai magistrati, chiedono da anni. Saranno soddisfatti. Meno lo sarà - o dovrà esserlo - chi si pone questa domanda: come e chi proteggerà quella miniera di informazioni? Quanto sarà inviolabile il sistema? E' legittimo che l'intera "base dati" della giustizia italiana sia gestita non dall'amministrazione giudiziaria, cioè dalla magistratura, ma da funzionari e società private dipendenti dal governo o dalle sue decisioni?
Un addetto al progetto, nato con il governo Berlusconi 2001/2006, è disposto ad ammettere che qualche problema c'è. "I responsabili degli uffici giudiziari, i procuratori della repubblica, dovrebbero essere in grado di esercitare un controllo agevole delle misure di sicurezza, ma se le base dati sono in una farm lontana, non si può avere la possibilità di effettuare monitoraggi continui. Quale responsabile della segretezza di quelle informazioni può escludere che, lontano dal suo ufficio, venga allestito un terminale del programma per l'accesso alla lettura dei dati? La sola risposta responsabile e ragionevole è: nessuno. La sicurezza è data da misure preventive e controlli costanti. Senza controllo, non c'è misura preventiva che possa tenere. E quale controllo puoi avere se sei a centinaia di chilometri di distanza?". Per alcuni autorevoli magistrati del pubblico ministero, quest'idea di una "cancelleria virtuale nazionale", prima di essere pericolosa, è soprattutto contra legem, illegale. "Il codice di procedura penale - dice un autorevole magistrato - prevede esplicitamente e senza deroghe che ogni "notizia di reato e la documentazione relativa alle indagini siano conservati in un apposito fascicolo presso l'ufficio del pubblico ministero con gli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria". Se dovesse nascere una cancelleria nazionale, anche se virtuale, si scipperebbe la proprietà esclusiva del fascicolo al pubblico ministero: è contro al legge". Si dice d'accordo l'addetto al progetto ministeriale: "E' vero che ogni notizia trasmessa e raccolta sarà criptata con la chiave pubblica del procuratore, ma le informazioni sono archiviate in un luogo non alle dipendenze del procuratore, ma della forza di polizia e quindi nessun efficace e reale controllo può esercitarsi sulla protezione della segretezza dell'archivio".
E' la questione cruciale, pare. Con una qualche coerenza, Berlusconi e il suo ministro non tacciono di voler trasferire l'avvio, lo sviluppo e l'esito dell'investigazione penale dalle mani del pubblico ministero alle polizie. La rivoluzione tecnologica potrebbe consentire di assicurare alle polizie, e quindi all'esecutivo, anche il controllo di tutte le informazioni, delle notizie di reato, di tutta la documentazione di ogni indagine avviata nei ventinove distretti giudiziari del paese. Un Grande Fratello della giustizia italiana, si può dire, che dovrebbe essere sconfitto o tenuto lontano soltanto dalla "chiave" con cui i procuratori della repubblica dovranno crittografare i documenti. Se si chiede ad Alberto Berretti, matematico, professore di sicurezza informatica a Tor Vergata - dunque con una familiarità con il mondo e i metodi dell'hackeraggio - se una "chiave" per crittografare i documenti può essere una protezione definitiva, si raccoglie un sorriso ironico. "Nessun sistema è sicuro.
Questo progetto del ministero di giustizia, per come me lo racconta, mi pare che faccia acqua. Innanzi tutto è pericoloso avere un solo server in un solo luogo. Se scoppia un incendio e tutto va in fumo, che succede? Si liquefa la giustizia italiana? Sono sicuro che abbiano tenuto conto di quest'eventualità e previsto due server e in due luoghi diversi, con il botto di danaro che costa, perché sicurezza significa prevedere che le cose possono anche andare male per caso. Poi il diavolo ci può mettere la coda e anche questo bisogna immaginare e la "chiave" non è la soluzione che risolve tutti i problemi. La crittografia rischia di essere una porta blindata sistemata su pareti di cartone. E' vero, è difficile rompere la porta, ma è facile aggirarla passando dalle pareti. Oggi i dvd sono cifrati, ma in rete ci sono a tonnellate di dvd craccati, per dire. E poi oggi ci sono programmi di keylogging che copiano in silenzio quanto viene scritto sulla tastiera del computer. Il procuratore magari chiude la porta dell'ufficio e digita la sua "chiave" di accesso crittografato. Pensa di essere solo e sicuro, invece c'è chi gli sta rubando in quel momento la chiave per consegnarla a cyber- criminali che la venderanno al maggior offerente. E se a vincere l'asta dovesse essere Cosa Nostra? Può stare certo che, se questa cancelleria virtuale dovesse davvero farsi, sarà un boccone ghiottissimo per ogni hacker del pianeta".
Dunque, lo stato dell'arte è questo. Tutti i documenti d'indagine della giustizia italiana finiranno presto in un unico canestro. I procuratori, responsabili delle indagini, non saranno in grado di garantire la sicurezza delle informazioni raccolte. L'archivio della "cancelleria virtuale" sarà nella disponibilità delle forze di polizia, e quindi del governo che gestirà il sistema attraverso una società privata (altra minaccia, se si ricordano i traffici spionistici della Telecom di Marco Tronchetti Provera). Quel che è peggio, anche Cosa Nostra potrà ficcarci il naso, pagando il dovuto. Voi dite che stiamo messi bene?
Repubblica.it
domenica 11 gennaio 2009
Chiudendo una giornata di ricordi:
"Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa, non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi."
non è la rosa, non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi."
CIAO FABER!
domenica 4 gennaio 2009
Bivacco pubblico sovvenzionato
Egregio signor Presidente della Repubblica,
a scriverle sono venti ragazzi che quest`anno sosterranno l`esame di maturità, studenti e studentesse del liceo Scientifico «XXV Aprile» di Pontedera. Ci rivolgiamo a Lei per la prima volta, ma l`argomento di cui vorremmo renderla partecipe ci sembra alquanto importante. La questione riguarda una visita che la nostra classe, insieme a due insegnanti, ha effettuato il 2 dicembre al Senato della nostra amata Repubblica.
Avremmo tanto voluto dimostrarle il riconoscimento verso le Nostre istituzioni e la felicità per aver avuto la possibilità di partecipare a tale visita, ma purtroppo i sentimenti che ci spingono a scriverle sono decisamente altri.
Siamo da poco maggiorenni, alcuni di noi hanno già avuto l`onore, nonché il dovere, di votare alle ultime elezioni. Tutti ci interessiamo alla politica, chi più e chi meno. Tutti, a scuola, seguiamo le lezione di educazione civica. Tutti studiamo gli articoli più importanti della nostra Costituzione e tutti crediamo nei suoi Principi Fondamentali. Ci stanno insegnando che non bisogna cedere a quella malattia, diffusa fra molti giovani, che è l`«indifferentismo». Ci stanno insegnando quel principio che un certo signor Piero Calamandrei insegnò agli studenti milanesi nel `55 e cioè che sulla libertà bisogna vigilare ogni giorno, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica.
Dopo aver letto queste parole si immagini dunque con quale entusiasmo e aspettativa attendevamo la visita al Senato. Nel primo pomeriggio siamo stati alla Libreria del Senato, dove una cortese signorina ci ha parlato di quest`importante organo di Stato: il ruolo, i poteri, la fisionomia. Dopo aver chiarito alcune curiosità ci ha esposto che cosa avremmo sentito alla seduta pubblica. L`ordine del giorno prevedeva la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, recante misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell`erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell`attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali. Visto il tema molto attuale, la signorina ci ha anche spiegato che eravamo fortunati, in quanto avremmo assistito ad un`importante, se non accesa, discussione parlamentare.
Un po` intimoriti, ma molto emozionati, siamo entrati a Palazzo Madama e, scortati dai commessi, siamo finalmente entrati per assistere alla seduta. Il presidente del Senato stava già introducendo la relazione del disegno di legge e si immagini il nostro stupore, mettendoci seduti, nel vedere che decine di posti erano vuoti, che le tribune a sbalzo erano pressoché deserte e che nessuno di quei pochi signori presenti stava ascoltando il Presidente. Ci è venuto spontaneo chiedere spiegazioni ai commessi, i quali ci hanno cortesemente rassicurati, spiegandoci che ogni senatore conosceva già il disegno di legge e la lettura da parte del Presidente era pura formalità. La situazione e soprattutto il grado di attenzione sarebbero sicuramente cambiati da lì a poco.
Ma ancora più stupore lo abbiamo provato nel momento in cui ci siamo resi conto che la situazione, con il passare dei minuti, non solo non cambiava, ma degenerava: i senatori parlavano fra di loro ed al cellulare con estrema naturalezza, generando un fastidiosissimo brusio di sottofondo, per altro non captato dal Presidente, che neppure tentava di richiamare all`ordine tali senatori. Ai più sfrontati con il cellulare alla mano si contrapponevano però i senatori più pacati: non conversavano, non interagivano, ma sfogliavano semplicemente le pagine dei quotidiani o dei giornali di gossip. Non dimentichiamo poi coloro che usavano con naturalezza il computer, aperto in bella vista davanti ai loro scanni. Dalla nostra tribunetta, esterrefatti, scrutavamo tutto e tutti. La situazione stava per toccare il fondo: alcuni senatori cominciano a esporre i loro discorsi e le loro opinioni riguardo il decreto-legge, ma il brusio ovviamente non si placa neppure adesso.
Un po` intimoriti, ma molto emozionati, siamo entrati a Palazzo Madama e, scortati dai commessi, siamo finalmente entrati per assistere alla seduta. Il presidente del Senato stava già introducendo la relazione del disegno di legge e si immagini il nostro stupore, mettendoci seduti, nel vedere che decine di posti erano vuoti, che le tribune a sbalzo erano pressoché deserte e che nessuno di quei pochi signori presenti stava ascoltando il Presidente. Ci è venuto spontaneo chiedere spiegazioni ai commessi, i quali ci hanno cortesemente rassicurati, spiegandoci che ogni senatore conosceva già il disegno di legge e la lettura da parte del Presidente era pura formalità. La situazione e soprattutto il grado di attenzione sarebbero sicuramente cambiati da lì a poco.
Ma ancora più stupore lo abbiamo provato nel momento in cui ci siamo resi conto che la situazione, con il passare dei minuti, non solo non cambiava, ma degenerava: i senatori parlavano fra di loro ed al cellulare con estrema naturalezza, generando un fastidiosissimo brusio di sottofondo, per altro non captato dal Presidente, che neppure tentava di richiamare all`ordine tali senatori. Ai più sfrontati con il cellulare alla mano si contrapponevano però i senatori più pacati: non conversavano, non interagivano, ma sfogliavano semplicemente le pagine dei quotidiani o dei giornali di gossip. Non dimentichiamo poi coloro che usavano con naturalezza il computer, aperto in bella vista davanti ai loro scanni. Dalla nostra tribunetta, esterrefatti, scrutavamo tutto e tutti. La situazione stava per toccare il fondo: alcuni senatori cominciano a esporre i loro discorsi e le loro opinioni riguardo il decreto-legge, ma il brusio ovviamente non si placa neppure adesso.
Molti di loro, concluso il discorso, prendono la ventiquattr`ore e se vanno, senza nemmeno ascoltare la risposta degli altri parlamentari. Altri continuano insistentemente a conversare e come l`esponente del proprio schieramento conclude il discorso si girano e con estrema naturalezza applaudono, senza nemmeno aver ascoltato una virgola dell`arringa. Molti altri entrano ed escono, leggono e scrivono, ci guardano e sorridono.
Ma lo stupore provato fino ad adesso in un soffio si trasforma in profonda delusione e vergogna. Ad alcuni di noi infatti capita per caso di ascoltare alcune frasi frammentarie, ma purtroppo del tutto intelligibili, di un senatore che, salito sullatribunetta, stava rispondendo alle domande di altri signori scandalizzati quanto noi. «E` normale, è anni che è così», ripeteva tale signore alle loro domande riguardo l`assenteismo. «L`Italia ormai è un Paese che non può più essere riformato», sosteneva. «I senatori si presentano solo per le votazioni più importanti; il titolo ormai è acquisito», rimarcava.
L`entusiasmo di venti giovani cittadini si è cancellato al sentire queste frasi. L`unica cosa che provavamo uscendo da Palazzo Madama quel martedì era delusione, amarezza, vergogna. Tutte quelle belle aspettative di cui eravamo pieni la mattina sono sfumate in quella mezz`ora.
Come si può governare bene un Paese se non si siede quasi mai in quelle tribune? Come si possono risolvere i problemi dello Stato senza dar loro attenzione? Come si possono trovare compromessi senza ascoltare le opinioni altrui? Come si può aiutare un Paese che sta soffrendo, che ha molte lacune da sanare, che ha gravi problemi da affrontare, se si hanno radicate nella mente le convinzioni di quel senatore?
Nei giorni successivi abbiamo continuato a parlarne in classe e le nostre professoresse si sono sentite quasi in dovere di chiederci scusa. I loro intenti erano due: coltivare e cementare il nostro senso civico e il nostro interesse per la politica e formare la nostra fiducia nelle istituzioni. Quest`ultimo è crollato come un castello di sabbia, lasciando dietro di sé le fondamenta della delusione. Ma per quanto riguarda la coscienza civica, difficile a crederci, si è resa ancora più salda: di assenteismo, di disinteresse, di falsità nella politica italiana avevamo sentito solo parlare, adesso però li abbiamo visti con i nostri occhi. Vedere per credere. La presa di coscienza di una realtà che in pochi vogliono ammettere ha generato un`unica, ma forte, sicurezza: la politica non può e non deve essere quella che ci si è presentata davanti. «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione», così recita l`articolo 67 della nostra Costituzione, e, se noi siamo la Nazione, non siamo più così sicuri di voler essere rappresentati da chi non si ripete ogni giorno questa frase.
Come noi anche altri studenti potrebbero aver avuto, e a nostro parere è cosa certa che sia accaduto, la stessa reazione. Perciò, pur essendo consapevoli che questa nostra lettera non cambierà quello che abbiamo visto e sentito nell`aula del Senato, ci è sembrato doveroso doverla rendere partecipe della nostra esperienza, delle nostre sensazioni e delle nostre conclusioni.
In veste di garante della Costituzione e rappresentante dell`unità non le poniamo alcuna richiesta, né le formuliamo alcun appello, ma la ringraziamo soltanto di aver speso un po` del suo tempo nel leggere questa lettera. In veste di cittadino italiano invece le chiediamo di far tesoro del pensiero, per non dire dello sdegno, di venti studenti, fieri cittadini italiani esattamente come Lei.
a scriverle sono venti ragazzi che quest`anno sosterranno l`esame di maturità, studenti e studentesse del liceo Scientifico «XXV Aprile» di Pontedera. Ci rivolgiamo a Lei per la prima volta, ma l`argomento di cui vorremmo renderla partecipe ci sembra alquanto importante. La questione riguarda una visita che la nostra classe, insieme a due insegnanti, ha effettuato il 2 dicembre al Senato della nostra amata Repubblica.
Avremmo tanto voluto dimostrarle il riconoscimento verso le Nostre istituzioni e la felicità per aver avuto la possibilità di partecipare a tale visita, ma purtroppo i sentimenti che ci spingono a scriverle sono decisamente altri.
Siamo da poco maggiorenni, alcuni di noi hanno già avuto l`onore, nonché il dovere, di votare alle ultime elezioni. Tutti ci interessiamo alla politica, chi più e chi meno. Tutti, a scuola, seguiamo le lezione di educazione civica. Tutti studiamo gli articoli più importanti della nostra Costituzione e tutti crediamo nei suoi Principi Fondamentali. Ci stanno insegnando che non bisogna cedere a quella malattia, diffusa fra molti giovani, che è l`«indifferentismo». Ci stanno insegnando quel principio che un certo signor Piero Calamandrei insegnò agli studenti milanesi nel `55 e cioè che sulla libertà bisogna vigilare ogni giorno, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica.
Dopo aver letto queste parole si immagini dunque con quale entusiasmo e aspettativa attendevamo la visita al Senato. Nel primo pomeriggio siamo stati alla Libreria del Senato, dove una cortese signorina ci ha parlato di quest`importante organo di Stato: il ruolo, i poteri, la fisionomia. Dopo aver chiarito alcune curiosità ci ha esposto che cosa avremmo sentito alla seduta pubblica. L`ordine del giorno prevedeva la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, recante misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell`erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell`attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali. Visto il tema molto attuale, la signorina ci ha anche spiegato che eravamo fortunati, in quanto avremmo assistito ad un`importante, se non accesa, discussione parlamentare.
Un po` intimoriti, ma molto emozionati, siamo entrati a Palazzo Madama e, scortati dai commessi, siamo finalmente entrati per assistere alla seduta. Il presidente del Senato stava già introducendo la relazione del disegno di legge e si immagini il nostro stupore, mettendoci seduti, nel vedere che decine di posti erano vuoti, che le tribune a sbalzo erano pressoché deserte e che nessuno di quei pochi signori presenti stava ascoltando il Presidente. Ci è venuto spontaneo chiedere spiegazioni ai commessi, i quali ci hanno cortesemente rassicurati, spiegandoci che ogni senatore conosceva già il disegno di legge e la lettura da parte del Presidente era pura formalità. La situazione e soprattutto il grado di attenzione sarebbero sicuramente cambiati da lì a poco.
Ma ancora più stupore lo abbiamo provato nel momento in cui ci siamo resi conto che la situazione, con il passare dei minuti, non solo non cambiava, ma degenerava: i senatori parlavano fra di loro ed al cellulare con estrema naturalezza, generando un fastidiosissimo brusio di sottofondo, per altro non captato dal Presidente, che neppure tentava di richiamare all`ordine tali senatori. Ai più sfrontati con il cellulare alla mano si contrapponevano però i senatori più pacati: non conversavano, non interagivano, ma sfogliavano semplicemente le pagine dei quotidiani o dei giornali di gossip. Non dimentichiamo poi coloro che usavano con naturalezza il computer, aperto in bella vista davanti ai loro scanni. Dalla nostra tribunetta, esterrefatti, scrutavamo tutto e tutti. La situazione stava per toccare il fondo: alcuni senatori cominciano a esporre i loro discorsi e le loro opinioni riguardo il decreto-legge, ma il brusio ovviamente non si placa neppure adesso.
Un po` intimoriti, ma molto emozionati, siamo entrati a Palazzo Madama e, scortati dai commessi, siamo finalmente entrati per assistere alla seduta. Il presidente del Senato stava già introducendo la relazione del disegno di legge e si immagini il nostro stupore, mettendoci seduti, nel vedere che decine di posti erano vuoti, che le tribune a sbalzo erano pressoché deserte e che nessuno di quei pochi signori presenti stava ascoltando il Presidente. Ci è venuto spontaneo chiedere spiegazioni ai commessi, i quali ci hanno cortesemente rassicurati, spiegandoci che ogni senatore conosceva già il disegno di legge e la lettura da parte del Presidente era pura formalità. La situazione e soprattutto il grado di attenzione sarebbero sicuramente cambiati da lì a poco.
Ma ancora più stupore lo abbiamo provato nel momento in cui ci siamo resi conto che la situazione, con il passare dei minuti, non solo non cambiava, ma degenerava: i senatori parlavano fra di loro ed al cellulare con estrema naturalezza, generando un fastidiosissimo brusio di sottofondo, per altro non captato dal Presidente, che neppure tentava di richiamare all`ordine tali senatori. Ai più sfrontati con il cellulare alla mano si contrapponevano però i senatori più pacati: non conversavano, non interagivano, ma sfogliavano semplicemente le pagine dei quotidiani o dei giornali di gossip. Non dimentichiamo poi coloro che usavano con naturalezza il computer, aperto in bella vista davanti ai loro scanni. Dalla nostra tribunetta, esterrefatti, scrutavamo tutto e tutti. La situazione stava per toccare il fondo: alcuni senatori cominciano a esporre i loro discorsi e le loro opinioni riguardo il decreto-legge, ma il brusio ovviamente non si placa neppure adesso.
Molti di loro, concluso il discorso, prendono la ventiquattr`ore e se vanno, senza nemmeno ascoltare la risposta degli altri parlamentari. Altri continuano insistentemente a conversare e come l`esponente del proprio schieramento conclude il discorso si girano e con estrema naturalezza applaudono, senza nemmeno aver ascoltato una virgola dell`arringa. Molti altri entrano ed escono, leggono e scrivono, ci guardano e sorridono.
Ma lo stupore provato fino ad adesso in un soffio si trasforma in profonda delusione e vergogna. Ad alcuni di noi infatti capita per caso di ascoltare alcune frasi frammentarie, ma purtroppo del tutto intelligibili, di un senatore che, salito sullatribunetta, stava rispondendo alle domande di altri signori scandalizzati quanto noi. «E` normale, è anni che è così», ripeteva tale signore alle loro domande riguardo l`assenteismo. «L`Italia ormai è un Paese che non può più essere riformato», sosteneva. «I senatori si presentano solo per le votazioni più importanti; il titolo ormai è acquisito», rimarcava.
L`entusiasmo di venti giovani cittadini si è cancellato al sentire queste frasi. L`unica cosa che provavamo uscendo da Palazzo Madama quel martedì era delusione, amarezza, vergogna. Tutte quelle belle aspettative di cui eravamo pieni la mattina sono sfumate in quella mezz`ora.
Come si può governare bene un Paese se non si siede quasi mai in quelle tribune? Come si possono risolvere i problemi dello Stato senza dar loro attenzione? Come si possono trovare compromessi senza ascoltare le opinioni altrui? Come si può aiutare un Paese che sta soffrendo, che ha molte lacune da sanare, che ha gravi problemi da affrontare, se si hanno radicate nella mente le convinzioni di quel senatore?
Nei giorni successivi abbiamo continuato a parlarne in classe e le nostre professoresse si sono sentite quasi in dovere di chiederci scusa. I loro intenti erano due: coltivare e cementare il nostro senso civico e il nostro interesse per la politica e formare la nostra fiducia nelle istituzioni. Quest`ultimo è crollato come un castello di sabbia, lasciando dietro di sé le fondamenta della delusione. Ma per quanto riguarda la coscienza civica, difficile a crederci, si è resa ancora più salda: di assenteismo, di disinteresse, di falsità nella politica italiana avevamo sentito solo parlare, adesso però li abbiamo visti con i nostri occhi. Vedere per credere. La presa di coscienza di una realtà che in pochi vogliono ammettere ha generato un`unica, ma forte, sicurezza: la politica non può e non deve essere quella che ci si è presentata davanti. «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione», così recita l`articolo 67 della nostra Costituzione, e, se noi siamo la Nazione, non siamo più così sicuri di voler essere rappresentati da chi non si ripete ogni giorno questa frase.
Come noi anche altri studenti potrebbero aver avuto, e a nostro parere è cosa certa che sia accaduto, la stessa reazione. Perciò, pur essendo consapevoli che questa nostra lettera non cambierà quello che abbiamo visto e sentito nell`aula del Senato, ci è sembrato doveroso doverla rendere partecipe della nostra esperienza, delle nostre sensazioni e delle nostre conclusioni.
In veste di garante della Costituzione e rappresentante dell`unità non le poniamo alcuna richiesta, né le formuliamo alcun appello, ma la ringraziamo soltanto di aver speso un po` del suo tempo nel leggere questa lettera. In veste di cittadino italiano invece le chiediamo di far tesoro del pensiero, per non dire dello sdegno, di venti studenti, fieri cittadini italiani esattamente come Lei.
(da: Iltirreno.it)
Iscriviti a:
Post (Atom)