Malcontenti, lamentele, voglia di cambiamento.
Queste oramai sono sensazioni comuni nel nostro paese..Parole ricorrenti (e ridondanti), sintomo di un malessere che c'è, è vivo e non da segni di miglioramento.
Ho ritenuto per questo opportuno iniziare un viaggio dentro questa "mucillagine" ripiegata su se stessa che è il nostro paese e, per cercare di delineare più precisamente il problema, ho deciso di inquadrandolo da più prospettive.
L' intento non è tanto quello di ricostruirne la causa (per quello abbiamo tutti un bello specchio in casa), ma piuttosto quello di dar modo al lettore di addivenire ad una visione di insieme sulla questione, così da potersi costruire autonomamente una opinione in merito e, magari, agire di conseguenza.
Iniziamo dalla realtà infrastrutturale del nostro paese.
Tutte le cose che crescono hanno bisogno di adeguamenti che gli consentano di svilupparsi.
In natura c'è chi cambia pelle, chi forma.Noi uomini cambiamo ad esempio, vestiti e scarpe mano a mano che ci sviluppiamo.
Il paese invece cambia le "Infrastrutture".
Queste niente altro sono che "L' insieme di impianti pubblici e di beni materiali al servizio della collettività (ad es. strade, acquedotti, scuole, ospedali, ecc.) che non producono direttamente reddito
ma costituiscono la base per lo sviluppo economico e sociale di un paese"
Insomma, dimmi che infrastrutture hai e ti dirò non solo chi sei, ma anche dove andrai.
Da 6^ Giornata dell’Economia - Rapporto Unioncamere 2008 [Focus infrastrutture]
Il gap di dotazione rispetto all’Europa ed il divario interno
Il ritardo infrastrutturale italiano è fortemente cresciuto in questi ultimi 15 anni, e soprattutto negli ultimi 5.
La rete autostradaleNel 1980 avevamo una rete più estesa della Francia, lunga tre volte quella della Spagna. Oggi la rete francese supera la nostra del 65% e quella spagnola del 75%! Non solo: tra il 2000 ed il 2005 in Italia abbiamo aperto 64 chilometri di autostrade, contro i 1.035 della Francia e i 2.383 della Spagna.
L’alta velocitàLa Francia possiede ben 1.893 Km di linee ad alta velocità, seguita dalla Spagna con 1.552, dalla Germania con 1.300; mentre l’Italia, con soli 580 Km, possiede attualmente una dotazione superiore solamente a quella del Belgio (120), e del Regno Unito (113).
La rete metropolitana
Nel nostro Paese i km di binari presenti su tutto il territorio sono 230, quando Madrid, da sola, ne ha 310, Parigi 213, Berlino 152, Stoccolma 100, Barcellona 105, per non parlare dei 408 km di Londra.
Le risorseIl ritardo infrastrutturale, almeno negli ultimi anni, non deriva da una questione di risorse. Negli ultimi quattro anni, e nonostante la frenata 2005 e 2006, si sono spesi, in Italia, in opere del genio civile 163 miliardi di euro, come la Francia, poco meno dei 175 miliardi della Germania, mentre solo la Spagna ha investito di più (204 miliardi).
Ma l’Italia mostra una particolarità: investiamo molto in manutenzione straordinaria, anziché nelle nuove opere. Solo il 46% degli investimenti in opere del genio civile del 2006 è andato per opere di nuova realizzazione, contro il 67,5% della Francia e l’82,2% della Spagna. Il nostro paese negli anni 2000 ha dunque speso molto ma la quota di risorse che va alle nuove opere è decisamente inferiore a quella degli altri paesi europei.
Il divario Nord - SudGli indicatori di dotazione infrastrutturale elaborati dall’Istituto Tagliacarne documentano il persistere di forti differenziali territoriali.
Le prime provincie per indice di dotazione stradale sono tutte in Italia settentrionale (Savona, Vercelli, Novara, Alessandria e Imperia). Nella classifica, la prima provincia dell’Italia centrale che compare è Frosinone al 7 posto; mentre del sud Italia è Teramo al 10. Situazione similare si rileva osservando l’indice di dotazione ferroviario.
L’urgenza di un drastico recupero
I cambiamenti e le modifiche degli assetti geopolitici ed economici hanno attivato processi che stanno imprimendo anche al comparto dei trasporti un’accelerazione impensabile fino a pochi decenni fa. Esempio di questa trasformazione è il cambiamento in atto nelle rotte marittime: lo sviluppo delle economie del Far East ha ridato centralità al Mediterraneo e questo nuovo baricentro potrà essere ulteriormente rafforzato dalla promozione di una zona di libero scambio euromediterranea.
Il nuovo assetto dei traffici vedrà servito il mercato del Centro Europa, oltre che da Nord, anche da Sud e le previsioni sulla crescita del mercato mondiale dei contenitori convergono su un raddoppio dei volumi movimentati (previsioni al 2015). Si aprono pertanto importanti opportunità per i porti italiani - soprattutto quelli del Mezzogiorno - che devono però essere colte in tempo, mettendo in atto gli investimenti necessari per fronteggiare la competizione dei porti europei ed in primis di quelli spagnoli.
In alcuni casi basterebbero piccoli investimenti: a Taranto il completamento di 30 km di rete autostradale, insieme alle nuove infrastrutture ferroviarie ed agli imprescindibili lavori di dragaggio che modificano la qualità di accesso al porto, consentirebbero di rendere più competitiva tale struttura, metterla in rete con gli altri porti e con le aree industriali di Bari e Brindisi, con ricadute positive per tutta l’Italia meridionale.
Ma occorre uscire dall’equivoco del Mezzogiorno come piattaforma logistica distributiva (c’e’ gia’) e puntare invece sullo sviluppo di aree retroportuali capaci di garantire indotto economico e crescita occupazionale.
Sull’intermodalita: occorre attrezzare adeguatamente i nodi logistici, ottimizzando l’esistente attraverso progetti dedicati alle filiere produttive. Credo che le Camere di Commercio possano, qui, rivestire un ruolo unico nell’individuare la collocazione strategica dei punti di scambio delle merci su cui concentrare maggiormente gli investimenti. Investimenti “intelligenti”, che creino, cioè, piattaforme logistiche di scambio ma a forte valore aggiunto. Un container in transito crea un fatturato di 300 €, ed un beneficio per lo Stato di circa 110, creando 5 soli posti di lavoro per ogni 1000 container. Invece, se la merce che contiene venisse sdoganata, lavorata e distribuita, il fatturato salirebbe a circa 2300 € per container e il beneficio per lo Stato a oltre 1000. L’occupazione crescerebbe a circa 42 posti di lavoro ogni 1000 container.
Da ultimo il trasporto cargo aereo. Un settore che sfiora il milione di tonnellate all'anno, circa un 1/3 di quello del maggiore aeroporto mondiale ed a poco più del 40% del principale aeroporto cargo europeo. Malpensa si qualifica di gran lunga come il principale aeroporto nazionale per il cargo (480.000 tonnellate di merce nel 2007 con un crescita del 68% in 6 anni), registrando negli ultimi 3 anni una crescita superiore a quella di Francoforte, ma non sembra per ora emergere ne’ dal governo centrale, ne’ da quelli locali, alcuna strategia volta a disegnare una gerarchia fra gli scali cargo esistenti.
La consapevolezza delle Camere: oltre i localismi
C’è ormai una visione generale che va oltre quei localismi che hanno finora contribuito a frenare lo sviluppo delle infrastrutture. Abbiamo chiesto a tutte le Camere di Commercio quali opere infrastrutturali fossero ritenute prioritarie. Naturale il fatto che le risposte abbiano messo in prima evidenza le opere presenti sul territorio; ma molto positivo è il fatto che anche infrastrutture molto lontane siano state giudicate urgenti e importanti. La Salerno - Reggio Calabria è stata indicata come altamente prioritaria da Camere di regioni settentrionali (Veneto, Piemonte e Liguria) così come Camere meridionali hanno indicato prioritarie le opere per l’accessibilità a Malpensa, la Bre.Be.Mi., la Tangenziale esterna di Milano e l’Autostrada Torino-Trieste.
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Non interessa, in questa sede, analizzare le possibili vie d' uscita (le stesse camere individuano due linee d azione in porposito di cui potrete prender cognizione direttamente dal loro sito).
Invece, come in un museo, quello che mi preme è che si osservi, si pensi, si ragioni e ci si interroghi sui perchè.
Nel prossimo capitolo andremo avanti con questa panormaica.