domenica 29 giugno 2008
Povera Italia, come ti hanno ridotto...
Ieri leggevo un articolo su "La Repubblica" di Eugenio Scalfari, uno dei pochi giornalisti che ancora riescono ad analizzare lucidamente la situazione, quantomeno anomala, del nostro Paese.
Egli giustamente ci ricorda che nel lontano 1972, due giornalisti del Washington Post misero in atto un'inchiesta sui comportamenti dell'allora Presidente degli Stati Uniti d'America Nixon, l'uomo più "potente del mondo". Questa inchiesta era fondata sul sospetto che il Presidente ed il suo entourage di collaboratori avessero spiato i loro avversari del Partito democratico. Tutto questo durò oltre due anni con una serie infinita di articoli arricchiti da testimonianze. Ci furono molti tentativi da parte del Presidente e dei suoi uomini di intimidire l'editrice, senza però ottenere alcun successo. Due anni dopo Nixon fu praticamente costretto a dimettersi, per evitare l'imminente e ormai inevitabile messa in stato d'accusa da parte del Congresso.
Sempre Scalfari ci ricorda che nel 1998, cioè ventiquattro anni dopo la vicenda di "Watergate", scoppiò lo scandalo "Sexygate", che coinvolse il Presidente Bill Clinton e la sua presunta amante Monica Lewinsky. Il reato non era neanche reato, ma riguardava la pratica di sesso orale effettuato nella stanza ovale dal Presidente democratico. Fu uno scandalo che occupò per molti mesi copertine di giornali e telegiornali. La vita privata di Clinton e la sua vita sessuale furono raccontate nei minimi dettagli. Quando finì il suo mandato, venne eletto con larga maggioranza il repubblicano Bush.
Nonostante tutto, però, nessuno in America propose restrizioni alla libertà di stampa. Non venne varata alcuna legge che ponesse dei limiti ulteriori alla stampa essendo che, per gli americani, la vita privata e quella pubblica dei politici sono sempre state sotto il controllo dei media senza alcuna restrizione, se non nei casi già previsti dalla legge.
Per rimanere un pò più vicini a noi abbiamo un altro esempio calzante: Giulio Andreotti. Quest'uomo è stato sette volte Presidente del Consiglio ed è stato accusato dai giornali e dai tribunali di ogni genere di nefandezze. Recentemente è stato girato e prodotto un film su di lui: "Il divo" di Sorrentino. In questo film, nonostante non si sveli l'enigma della figura di Andreotti, viene data una chiave di lettura colpevolista del soggetto in questione. Andreotti, però, non ha querelato gli autori del film. Non solo: è stato spesso coinvolto e condannato in processi gravissimi in primo grado; successivamente le sue pene sono state ridotte o cancellate in appello e definitivamente annullate in Cassazione. Lui non si è mai sottratto ai processi, anzi, li ha sempre affrontati. Niente a che vedere con Ghedini, l'avvocato difensore di Berlusconi e redattore delle leggi ad personam in favore del Cavaliere stesso.
Come si può ben capire, c'è una differenza abissale tra i casi ricordati di Clinton, Nixon e Andreotti, rispetto alla situazione che si è venuta a creare con Silvio Berlusconi. Questa differenza è dovuta non solo alle caratteristiche di questi quattro personaggi, ma anche al conformismo della stampa italiana rispetto a quella americana, l'"imbambolamento" della nostra opinione pubblica rispetto a quella di oltreoceano e poi è dovuta soprattutto all'incapacità dei parlamentari del centrodestra di distinguere il ruolo di membri del potere legislativo dalle "follie" di un Presidente del Consiglio, che cerca di affrancarsi da ogni controllo istituzionale, giudiziario, politico, ed infine mediatico.
Purtroppo questa sorta di teatrino non accenna a dare cenni di cedimento, anzi. Però i problemi in Italia sembrano altri: i processi di Berlusconi con Ghedini che gli fa da spalla, i militari da sostenere e mandare in strada con La Russa che fa la voce grossa o, addirittura, la schedatura dei "rom" con Maroni che fa la parte dello sceriffo. Tutto questo in nome di una maggiore sicurezza.
Ma fatemi il piacere!!!
Per concludere voglio riportare la fine del famoso articolo di Scalfari che chiude scrivendo: "Ha ragione quel genio di Altan sull'ultimo numero dell'Espresso: una donnina con le labbra rosse e gli occhi pensierosi dice: " Ho paura ma non so di che cosa". Ecco, gli Italiani li avete ridotti così".
Qualcosa di buono..e un auspicio
Quando avrete finito di strabuzzare gli occhi per la ricchezza immane della criminalità nel nostro paese (chissà perchè), unitevi con me in una preghiera acchè questa attività concreta continui ed anzi si intensifichi.
sabato 28 giugno 2008
il tempo è galantuomo, atto II
Di Giuseppe Guastella
È da poco terminata la seduta della commissione disciplinare del Csm. Clementina Forleo è stata assolta e il vice presidente Nicola Mancino ha rimarcato l’autonomia del Csm.
Dottoressa Forleo, contenta?
«Questa prima decisione mi rasserena e mi ripaga di tante amarezze e affanni di questo ultimo anno, da quando da ottimo magistrato sono diventato un cattivo magistrato ».
Il primo procedimento finisce bene.
«Partiva tutto da qui, quantomeno cronologicamente. Da questo procedimento sono venuti a cascata anche gli atri due in una successione immediata. Ho dovuto lottare, ma considero questa non tanto una vittoria mia personale, quanto una vittoria della giustizia».
Cosa glielo fa pensare?
«È stato ribadito il principio dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Un principio per cui continuerò a lottare. Costi quel che costi».
I procedimenti di fronte al Csm che la riguardano sono diventati motivo di scontro politico. Crede che questo abbia influito su di essi?
«Non faccio nessuna valutazione di ordine politico».
Parliamo dell’assoluzione, è stata assolta. Come la interpreta?
«Era la prima volta che si contestava l’abnormità di un provvedimento che, come ha spiegato bene il mio difensore Maurizio Laudi, conteneva commenti proporzionati alla importanza della vicenda. Il dottor Laudi ha dimostrato in modo brillante come quelle telefonate fossero tutt’altro che penalmente irrilevanti, così come i ruoli di D’Alema e Latorre, che all’epoca parlarono di spazzatura e di suk arabo senza che nessuno intervenisse in mia tutela. Il mio giudizio era appropriato. D’altronde i fatti giudiziari che sono seguiti, come la richiesta di utilizzo delle intercettazioni presentata dalla Procura di Milano al Parlamento europeo, confermano le mie considerazioni».
Ora ci sono altri due procedimenti da affrontare.
«Ho sempre avuto fiducia nella giustizia. Averne, prima o poi paga. Certo, se si ha l’onestà e la dignità per andare avanti senza cedere dinanzi a nulla, la verità viene sempre fuori. E siccome il tempo è galantuomo, spero che anche il pm Luigi de Magistris abbia giustizia».
Come mai in questo momento pensa proprio a lui?
«Abbiamo storie diverse ma un comune destino».
Quale destino?
«Credo che lo abbiano capito ormai tutti. Abbiamo entrambi toccato i poteri forti e stiamo pagando per questo».
Come si sente ora?
«Rincuorata. La decisione della commissione mi ha dato più coraggio. Torno a lavorare come sempre nel mio ufficio».
L’accusano di fare la vittima e di mancare di equilibrio.
«Si da il caso che stia trovando riscontri investigativi quanto da me doverosamente denunciato alle autorità competenti, e non certo ai media, a supporto di numerose lettere minatorie e di un proiettile che ho ricevuto ».
venerdì 27 giugno 2008
Una sabato sera tra folklore e divertimento
Questa gara, come le altre gare remiere livornesi, è divisa in due parti: una riservata alle gozzette a 4 remi (dalle 21:00 alle 22:00 circa) e una riservata ai gozzi a 10 remi (dalle 22:15 circa in poi). Essa risale al 1966 e fu indetta in memoria del partigiano Ilio Barontini, nome di battaglia Dario. Barontini, nato a Cecina, ma vissuto fin da piccolo a Livorno, fu uno dei fondatori del PCI nel 1921 proprio a Livorno, in seguito all'8 Settembre 1945, entrò a far parte delle brigate partigiane di stampo comunista, operando con successo in Emilia Romagna, a Torino e a Milano; finita la guerra fu uno dei padri della nostra Costituzione e poi fu eletto senatore, morì nel 1951 in un incidente d'auto a Firenze.
Tornando alla gara remiera che porta il nome di Barontini, essa fu indetta nel 1966 su richiesta della sezione Pontino San Marco del PCI di Livorno, e inizialmente fu patrocinata anche dalla presidenza della Repubblica.
La gara, che si svolge in pieno centro lungo i fossi (non chiamateli canali) della città, è una gara a cronometro: ogni imbarcazione parte da sola e deve compiere il giro dei fossi nel più breve tempo possibile, le imbarcazioni partono distaccate di circa 5 min l'una da l'altra nell'ordine inverso rispetto all'arrivo della Coppa Risi'atori precedentemente svolta (un po' come avviene nelle cronometro del Giro d'Italia o del Tour de France).
Delle 3 principale gare remiere livornesi, dette "trittico", questa è la più suggestiva, per due motivi: perché si svolge in notturna e perché il pubblico è molto più coinvolto dato che assiste lungo tutto il percorso dalle spallette dei fossi e dai ponti che si affacciano lungo tutto il tracciato.
Un consiglio per chi volesse venire a vedere la manifestazione da fuori Livorno: venite verso le 19:00 e mangiate qualcosa in uno dei tanti ristoranti, trattorie, pub che ci sono in centro, soprattutto nel rione Venezia, così, una volta cenato, siete vicini al percorso della regata.
Il percorso è lungo circa 3200m ed è il seguente (faccio una specie di warm up tipo Loris Reggiani prima del gran premio della moto GP): si parte dalli Scali delle Cantine (lato nord della Fortezza Nuova), poi, andando in senso antiorario, si costeggia la Fortezza Nuova sino ad una curva ad angolo retto verso destra che immette nel Fosso Reale, si continua a diritto, passando sotto il Ponte di Marmo o Ponte dei Domenicani, un ponte stretto sotto il quale passa una sola fila aperta di remi del gozzo (qui si vede la bravura del timoniere), si prosegue con una curva verso sinistra che ci porta agli Scali Rosciano, poi leggera piega verso destra e quindi rettilineo fino all'attraversamento del ponte S. Trinita, che immette il gozzo nella darsena vecchia, che va dalla Fortezza Vecchia fino al Ponte Nuovo, passando per lo strettissimo Ponte dell'Arsenale, arrivati al Ponte Nuovo si rientra nel Fosso Reale con una brusca curva a gomito verso sinistra (per la terza volta diventa fondamentale il timoniere), poi un lungo rettilineo fino a Piazza Cavour dove il fosso piega dolcemente verso sinistra, poi altro tratto rettilineo fino alla curva che immette il gozzo sotto il Voltone, ovvero Piazza della Repubblica la più grande piazza-ponte d'Europa, un tratto rettilineo praticamente al buio, al termine del quale mancano oramai circa 200m (che a sentire lo speaker ufficiale non passano mai) al traguardo posto lungo il lato est della Fortezza Nuova.
Quindi un percorso molto tecnico dove conta molto il timoniere, soprattutto nelle curve e sotto i ponti, ma anche la forza fisica dei vogatori che devono andare a tutta soprattutto nei lunghi tratti rettilinei. Il tempo di percorrenza dell'intero percorso varia dai 15 min dei gozzi a 10 remi fino ai quasi 20 min per le gozzette a 4 remi. Gli armi sono delle gozzette a 4 remi a sedile fisso con timoniere, e dei gozzi a 10 remi a sedile fisso con timoniere; ogni armo rappresenta un rione della città, in tutto 16 (8 per le gozzette a 4 remi e 8 per i gozzi a 10 remi).
Per apprezzare meglio la regata vi consiglio 3 postazioni da cui assistere (quelle in rosso nella cartina di sopra): la prima è lungo gli Scali delle Cantine dai quali si possono apprezzare partenza e arrivo degli armi, la seconda è dopo il Ponte dei Domenicani dalla quale si può apprezzare il difficile attraversamento del ponte (per vedere se i remi grattano all'uscita dal ponte) immersi in una ricca cornice di tifo, la terza è in Piazza Cavour dalla quale si possono osservare gli armi giungere dal porto e poi dirigersi verso il Voltone; comunque qualunque spalletta o qualunque ponte sono buoni per apprezzare questo spettacolo (occhio a non andare lungo alcuni fossi dove le barche non passano).
Buon divertimento!
(prossimamente parlerò anche del Palio Marinaro e accennerò alla Coppa Risi'atori completando il trittico di gare)
link utili:
http://www.fotolivorno.net/ITALGareRemiere.html
http://www.comune.livorno.it/_livo/pages.php?id=2022&lang=it
http://www.paliomarinaro.com/
martedì 24 giugno 2008
Notti magiche (inseguendo un rom)
Con l’arrivo della bella stagione e le fresche serate estive, è sempre bello uscire a fare due passi, riempirsi i polmoni dell’aria frizzante al profumo dei glicini in fiore, incontrare gli amici per parlare di come andrà a finire Lost(1), gustare un gelato e pisciare nelle cabine dei Bancomat.
I più romantici, quelli che sopportano a malfatica la movida cittadina, preferiscono magari guidare la propria vettura per spostarsi nella quiete della campagna, abbassare i finestrini per respirare la bruma, ammirare la volta stellata e, al frinire dei grilli, chiedere al trans quanto vuole per farselo mungere.
Purtroppo queste sane abitudini, negli ultimi tempi sono seriamente minacciate - se non addirittura impedite - dal crescente degrado del nostro Paese e delle periferie delle nostre città, troppo spesso abbandonate nelle mani di individui senza vergogna, né rispetto, né cultura, che pretendono di controllare il territorio e la vita delle persone che vi abitano. I nostri quartieri sono ormai terra di conquista per popoli che dai propri luoghi d’origine si spostano in massa alla ricerca di privilegi e comodità che non meritano(2). E così gruppi di rumeni, macedoni, albanesi, unni, cimmeri, uruk-hai si sono impadroniti delle notti italiane(3), confinandoci entro le strette maglie della nostra paura.
Questa situazione fa il paio con la drammatica deriva delle nuove generazioni, i giovani(4), proprio coloro che dovrebbero garantire il futuro del Belpaese. Ormai fanno parte del parlare quotidiano termini come speed pusher, rave party, baby-gang, gang bang, facial cumshot, devolution.
Ognuno di noi ha avuto modo di sentir parlare di queste nuove forme di prevaricazione sociale nei numerosissimi servizi dei vari Tg(5), e il cambiare canale sbuffando non serve certo a nascondere l’oggettiva realtà dei fatti(6).
Si tratta di fatto di un’apocalisse civile e culturale apparentemente impossibile da riparare(7).
E fra questi fenomeni quello che più d’ogni altro è percepito come davvero preoccupante, al punto di far desistere tante brave persone dall’uscire la sera, è senza dubbio quello delle RONDE LEGHISTE.
Bene, noi vogliamo tranquillizzare i cittadini italiani che temono di imbattersi in squadre di dentisti in armatura, infissisti vestiti da Panoramix o concessionari Tata in tuta verde come l’enigmista di Batman.
Non temete, sono brave persone.
Persone come tutti noi, che sono stanche di cedere alle angherie delle varie mafie, che non possono più tollerare il silenzio dell’omertà e che non vogliono rendersi complici dei clientelismi che da sempre paralizzano l’Italia. E infatti siamo sicuri che le ronde con le spranghe in mano le facciano, oltre che ai giardini delle stazioni e sotto i portici dove dormono i barboni, anche sotto le case dei boss mafiosi come faceva Peppino Impastato. Altrimenti verrebbe da pensare che sono solo dei poveri vigliacchi ignoranti. E noi questo non lo prendiamo nemmeno in considerazione.
Persone che si sono stancate di essere vittime di cartelli di malviventi, di gentaglia della peggior specie che ruba, imbroglia, truffa e che sistematicamente non viene punita. Per questo siamo disposti a mettere la mano sul fuoco che le ronde le facciano, oltre che contro le bancarelle degli ambulanti extracomunitari, anche davanti alle banche, alle finanziarie, alle assicurazioni o agli studi e i negozi dei grandi evasori fiscali. Altrimenti una persona un po’ in malafede potrebbe pensare che siano solo degli sporchi razzisti, ignoranti e ottusi, e noi questo non vogliamo nemmeno sentirlo dire.
Persone che amano la giustizia e chiedono allo Stato solo ciò che dovrebbe essere da esso garantito: solo un po’ di sicurezza. Che si sono sentite tradite e abbandonate dalla grande truffa di leggi vergognose come l’indulto(8), grazie al quale sono usciti di galera tanti albanesi, rumeni e magrebini del cazzo. E non ci sarebbe bisogno di puntualizzarlo, ma siamo certissimi che le ronde le facciano anche sotto la sede dei loro alleati di Forza Italia, il partito con il più alto numero di inquisiti e condannati, quello che più di ogni altro ha voluto e beneficiato dell’indulto e il cui leader ha fatto di tutto per abbreviare i tempi di prescrizione e smantellare il già traballante sistema giuridico italiano.
Altrimenti qualche osservatore fazioso catto-comunista e statalista potrebbe sostenere che siano solo dei farabutti opportunisti al soldo del padrone. E noi siamo sicuri che non è così.
Persone ragionevoli dunque, non certo bifolchi esaltati pronti a sfogare una non meglio definita rabbia repressa contro il diverso, e capeggiati da leader populisti mossi da interessi enormi. Infatti, non si è vista nessuna ronda punitiva (ma neanche una manifestazioncina di protesta, o una semplice dichiarazione(9)) a stigmatizzare il drammatico pestaggio di Verona, durante il quale ad un ragazzo è stata fracassata la testa a calci e pugni da cinque pezzi di merda neofascisti, italianissimi figli della “Verona bene”. No, no. Queste persone sono talmente sensibili che davanti al vuoto orrore di questo delitto agghiacciante preferiscono evitare di commentare, per andare piuttosto a cercare conforto laddove sono abituate a trovarlo; gli anziani nelle chiese, i giovani nello spritz, i padri di famiglia nei viados(10).
D’altronde, come diceva Shakspeare: davanti alla morte, solo il silenzio.
Ecco: sono senz’altro questa profonda sensibilità e questa cultura umanistica, che hanno impedito a costoro di scagliarsi con decisione contro chi insinua la paura indefinita e fomenta l’odio politico e razziale per riscuotere un facile consenso elettorale. Altrimenti sarebbero solamente dei porci fascisti, disonesti e bugiardi. E noi questa possibilità non vogliamo nemmeno ipotizzarla.
Non temete, quindi. Gustiamoci le prossime passeggiate serotine a sorseggiare una bibita fresca, chi sul lungomare, chi nei parcheggi dei centri commerciali. I tempi sono sì difficili, ma c’è comunque chi pensa alla nostra incolumità ed è pronto a difenderci contro i pericoli della notte.
Già, ma chi controlla i controllori?
Alcuni sindaci illuminati, come quello di Cittadella, hanno stilato una lista di requisiti minimi per poter essere riconosciuti come cittadini di serie A e, come tali, difesi. Niente di trascendentale, basta avere un reddito sopra i 5000 euro all’anno e un’abitazione decente(11).
Lo scopo di questa puntualizzazione è naturalmente quello di escludere dalla vita civile categorie di persone socialmente pericolose come negri, barboni, zingari, pensionati, lavoratori precari, addetti ai call-center, disoccupati e studenti.
Che, per quanto li riguarda, possono andare tranquillamente a prenderselo nel culo o, peggio, rinchiudersi in casa a guardare il Tg2.
1. Questa è ancora una volta la dimostrazione che Gesù è la Salvezza.
2. Poveracci venuti in Italia convinti che fosse il Paese che vedevano nei programmi Mediaset per poi scoprire, con orrore, che era veramente così.
3. Precedentemente appannaggio, invece, di numerosissimi rasponi dedicati alle signore Guida Gloria, Cassini Nadia, Fenech Edwige.
4. In genere adolescenti analfabeti e aggressivi quasi quanto i concorrenti di “Amici”, ma comunque dotati di maggior talento.
5. Comunque subordinati a quelli sul papa, l’orsetto Knutt, il capriolo Luigi, il principino Uilliam e altri animali del cazzo.
6. Anche perché lo stesso servizio, montato magari in altra maniera e con l’aggiunta di un paio di troie arriviste, lo si trova pari pari nell’altro canale.
7. Almeno finché si farà di tutto per rimanere incivili e ignoranti come la merda.
8. O la Cirami, o la Gasparri, o la Bossi-Fini, o la Maccanico, il lodo Schifani, la Cirielli, la Pittelli e quella sul falso in bilancio.
9. Nessuna dichiarazione, cioè, che non minimizzasse la tragedia banalizzandola come una semplice rissa fra giovani.
10. E si chiude il cerchio.
11. L’abitazione è ritenuta decente se dotata di: tv a schermo piatto e parabola per Sky, decoder per il digitale terrestre, centrotavola in pizzo con sopra un vaso di begonie ben curate, foto di Padre Pio o del duce nel tinello, crocifisso sulla testiera del letto, tripudio di vongole con madonnina al neon sopra il comodino.
Autore: DONZAUKERlunedì 23 giugno 2008
Buonanotte all' Italia
Il Dipartimento della Difesa Usa dà ragione al blog. Nel 2005 scrissi che a Ghedi Torre e ad Aviano c'erano novanta testate nucleari americane. Potenza distruttiva pari a 900 volte Hiroshima. Dissi nel mio spettacolo Reset che il livello di sicurezza del sito di Ghedi era inesistente. La televisione svizzera mostrò un gruppo di ragazzi entrato nella base a fare un picnic dimostrativo senza alcun problema. La sicurezza intervenne quasi mezz'ora dopo. Nel caso di un attentato le bombe contenute a Ghedi farebbero sparire l'Italia del Nord insieme a parte dell'Europa Centrale. Il federalismo della Lega sarebbe finalmente realizzato. Il rapporto riservato dell'Air Force è stato pubblicato dalla Federazione degli scienziati americani (FAS).
Il rapporto è stato ordinato da Roger Brady, comandante dell'Air Force in Europa, dopo che un B52 trasportò per errore sei testate atomiche sorvolando gli Stati Uniti. Nel rapporto si legge: "problemi di edifici di supporto, alle recinzioni dei depositi, all'illuminazione e ai sistemi di sicurezza, a guardia dellle basi vi sono soldati di leva con pochi mesi di addestramento".
Anna Maria Guarneri, sindaco di Ghedi, è sorpresa. "Ora (ORA?) si indica che nella base del mio centro ci sono bombe atomiche". La bella addormentata.
In questa situazione di emergenza nazionale (che cosa è infatti emergenza se non la possibile scomparsa dalla cartina geografica dell'Italia?) La Russa e l'ambasciatore USA Ronald Spogli insistono perchè sia allargata la base di Vicenza. Nonostante la sospensione dei lavori a seguito dell'ordinanza del Tar del Veneto. La Russa: "Questa decisione non ci turba. Gli impegni con gli alleati saranno mantenuti". Spogli:"Le truppe USA di ritorno dalle missioni in Afghanistan si eserciteranno a Vicenza con i soldati italiani che si preparano a intervenire nelo stesso teatro".
Perchè siamo in Afghanistan? Perchè abbiamo novanta bombe atomiche americani sotto il culo? I discendenti di Mussolini sono i primi ad aver abdicato alla sovranità nazionale. I leghisti vogliono essere padroni a casa loro, ma con le bombe e le basi degli altri e l'esercito per le strade.
Fuori le bombe atomiche dall'Italia. Fuori gli italiani dalla guerra in Afghanistan.
A ottobre ci sarà un referendum a Vicenza contro l'allargamento della base. Io ci sarò.
domenica 22 giugno 2008
Neo-Fascismo
La magistratura è sovversiva, non si deve permettere di indagare il potere.Chi continuerà su questa linea verrà riformato coattivamente.
I giornalisti devono stare attenti a come esercitano i loro diritti e, se pubblicano intercettazioni, li sbattiamo in galera.
Qualunque cosa o persona non riporti il marchio "Made in Italy" è messa al bando o imprigionata vita natural durante.
Le sentenze della Corte, di qualunque corte, sono carta igenica: Stian piuttosto attente che non le trasformi in corti "dei fasci e delle corporazioni".
Già che ci siamo riformo pure le regole di comunicazione dei membri della commissione UE, che non si devono permettere di fare il loro lavoro(«le previsioni, i suggerimenti che danno i commissari e che appaiono sui giornali provocano reazioni non positive per i cittadini dell’Unione che vedono l’Ue come qualcosa che pone vincoli e crea problemi; inoltre creano difficoltà ai governanti perché danno l’esca alle opposizioni di destra o di sinistra per criticare il Governo»).
Del resto, questa sarà una "Legislatura Costituente"!Libererò finalmente l' Italia da tutti questi impicci e restituirò agli italiani la libertà [di pensarla a modo mio]
venerdì 20 giugno 2008
giovedì 19 giugno 2008
Alea iacta est
Uniche attenuanti per alcuni collaboratori come Luigi Diana.
È soddisfatto il pg Francesco Iacone, rappresentante dell’accusa. «La sostanza della sentenza di primo grado è confermata, tranne qualche punto che mi riservo di valutare. Le attenuanti generiche sono state concesse solo agli imputati che hanno ammesso i fatti e hanno confessato». Il pg ha sottolineato «gli enormi sforzi» per celebrare il processo «compiuti da tutti gli apparati». «Vi ricordo - ha detto - che in primo grado il processo Spartacus durò sette anni e gli imputati furono scarcerati. Noi per portarlo a termine abbiamo stralciato la posizione degli imputati liberi e ci siamo concentrati su quelli detenuti. Così consentiremo anche alla Cassazione di intervenire prima della scadenza dei termini». Alla domanda di una giornalista su quale sia stata la maggiore difficoltà da affrontare il pg ha risposto: «Sono state le proteste degli avvocati, che minacciavano di andarsene. Comunque abbiamo avuto molti problemi grossi, perfino il presidente che è stato male».
Sono complessivamente 30 le condanne inflitte dalla prima sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli (presidente Raimondo Romeres, giudice a latere Maria Rosaria Caturano). Oltre alle sedici condanne all’ergastolo (nei confronti, tra gli altri, dei vertici della cosca come Francesco Schiavone, Francesco Bidognetti, Michele Zagaria e Antonio Iovine), la Corte ha inflitto altre 14 condanne a pene varianti dai 30 ai due anni di reclusione. Trenta anni è la pena stabilita per Pasquale Apicella e Giuseppe Russo, 21 per Antonio Basco, 16 per Luigi Diana, 15 per Dario De Simone (collaboratore di giustizia) e Nicola Pezzella, 14 per Franco Di Bona (anch’egli pentito), 10 anni e sei mesi per Carmine Schiavone (pentito), 9 per Guido Mercurio, 9 per Corrado De Luca, 4 per Alberto Di Tella e Giuseppe Quadrano (entrambi pentiti), 3 anni e tre mesi per Vincenzo Della Corte, 2 per Vincenzo Schiavone.
Primo e secondo grado è durato in tutto dieci anni. Dieci lunghi anni di processi nel corso dei quali i Casalesi hanno continuato a spadroneggiare, uccidere, intimidire. Sette anni il primo grado (sentenza il 15 settembre 2005) con 21 eragastoli inflitti e 95 condanne complessive: un totale di otto secoli e mezzo di condanne. Dei 21 ergastoli, nel secondo grado, durato «solo» tre anni ne erano stati chiesti 16. Confermati in aula. Sedici gli omicidi oggetti di valutazione e revisione commessi tra il gennaio 1988 e la fine del 1991: tra questi il più importante, quello di Antonio Bardellino, capo indiscusso della camorra casertana, ucciso in Brasile.
Un processo-simbolo, il processo a «Gomorra», non a caso chiamato «Spartacus», quasi si dovesse - come lo schiavo Spartaco - liberare un intero territorio dal gioco della camorra più sanguinaria e potente. Un giorno del giudizio scandito da minacce a giornalisti (la reporter del «Mattino», Rosaria Capacchione), giudici (Raffaele Cantone) e finanche a una star del calibro di Saviano.
Così la vigilia della sentenza contro un clan che, secondo calcoli approssimativi (per difetto), ha un giro d'affari di 30 miliardi di euro e ramificazioni in mezzo mondo, è stata scandita da paura e tensione. Timore di un atto eclatante, di un gesto di sfida allo Stato dopo le minacce rivolte in aula e anche dopo l'ironia sferzante di «Sandokan» che da dietro le sbarre dell'aula bunker aveva ammonito giornalisti e operatori televisivi: «Non sono un animale in gabbia, non voglio essere ripreso da Telekabul». Ma non è successo nulla se non il furto di un motorino, seminuovo, di una cronista, parcheggiato davanto l'aula-bunker.
E mentre i capi minacciavano in aula, i gregari sparavano nelle strade, terrorizzando pentiti e collaboratori di giustizia. Una lunga scia di sangue con l'eliminazione fisica di chi aveva intenzione di rompere l'omertà e collaborare con i magistrati della Direzione distrettuale antimafia. Sotto le bifilari dei sicari sono così caduti Domenico Noviello, imprenditore che si era ribellato al «pizzo> e doveva testimoniare (proprio ieri è stato arrestato il suo estorsore), Michele Orsi, imprenditore del settore ecologico che aveva rotto il sodalizio di affari con i Casalesi e voleva collaborare con la giustizia. E ancora, ferita la nipote di Anna Carrino, compagna di Francesco Bidognetti «Cicciotto 'e mezzanotte», che aveva scisso i suoi legami con il clan e sollecitava anche il suo uomo in carcere a fare lo stesso.
In aula ad ascoltare la «resa» dei Casalesi c'è anche lui, lo scrittore Roberto Saviano, l'uomo che con il suo best-seller «Gomorra» ha messo organicamente in luce la camorra-imprenditrice di Casal di Principe, mettendo a nudo le «icone del male» come Francesco «Sandokan» Schiavone, Francesco Bidognetti, Pasquale Zagaria e Antonio Iovane.
Dimettetevi
«Come potremo dire ai genitori di una persona morta in un incidente stradale, o alla vittima di uno stupro - ha detto Cascini - che il processo non si fatà perchè il fatto non è ritenuto grave?».
Diversi i paradossi segnalati dall' Anm a cui porterà l'applicazione di questa norma:
_lo studente che cede gratuitamente una dose di hashish a un coetaneo sarà processato prima dello straniero irregolare che violenta una studentessa alla fermata del tram;
_la stessa sorte toccherà al giovane che ruba un cellulare a un coetaneo minacciandolo con un temperino rispetto al chirurgo che durante un'operazione per un grave errore provoca la morte di un bambino.
Le chiacchere stanno a zero.
Questi fatti sono un marchio di infamia per qualunque essere abbia avvalato questa spazzatura per salvare un delinquente miliardario.
E' l' ora di ritornare con i piedi per terra.
Questa è criminalità pura.
mercoledì 18 giugno 2008
La riduzione al silenzio
"Una rassicurante frustrazione" è la passione dominante in Italia, sostiene Giorgio Agamben. è il sentimento che prova chi è stato espropriato delle sue capacità espressive, è l'impulso di chi, "senza avere nulla per tirarsene fuori", si consegna a un silenzio dinanzi all'"intollerabile". è insostenibile in Italia lo stordito consenso a questa riduzione al silenzio, la quieta accettazione del vuoto di parole di un intero popolo di fronte al proprio destino.
Non c'è dubbio che contribuiscano a questo sentimento il disincanto delle élites, la debolezza dell'opposizione politica, il rumore dei media, la narcosi di un corpo sociale frastornato da una comunicazione nebbiosa, truccata, prepotente. Per l'ultima prova di forza di Berlusconi - un déjà vu - non accade nulla di diverso.
Il Cavaliere deve liquidare un paio di nomina criminis: corruzione in atti giudiziari (in un processo, che lo vede imputato, compra un testimone chiave, Mills); corruzione di incaricato di pubblico servizio (traffica con Agostino Saccà, Rai, promettendogli lussuosi affari). Il capo del governo combina un provvedimento con immediata forza di legge protetto da una formula di grande successo: la sicurezza. Prova a condirlo con una norma che lo salva.
Il Capo dello Stato gli si oppone due volte: urgente può essere la sicurezza dei cittadini, non la tua personale impunità giudiziaria. E ancora, non è urgente o necessario l'annichilimento dello strumento investigativo delle intercettazioni: vai in Parlamento e trova una soluzione condivisa.
Berlusconi finge di abbozzare. Rinuncia a regolare le intercettazioni per decreto (oggi, disegno di legge). Non rinuncia a rendersi "sacro". Ordina a due turiferari di proporre un codicillo che sospende il processo Mills per un anno: tempo utile per far votare la sua inviolabilità fino a quando sarà al governo e domani (Dio ci scampi) al Quirinale. Accade che, di fronte a questa manomissione di equilibri e regole, si reagisce come se lo scasso fosse già realizzato e la violazione irrimediabile. Ci si abbandona al risentimento, allo sdegno, alla delusione.
Questi sentimenti, pur legittimi, sostituiscono ogni iniziativa politica, gesto privato o discorso pubblico, addirittura ogni scambio di opinione; si confondono nelle illusioni sceniche create dagli annunci del governo; ci consegnano a un'immota passività, prigioniera di un ideologismo tautologico e, alla fine, impotente (Berlusconi è Berlusconi). Ne sono un esempio le parole di Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, che non comprende come è interdetta, con le intercettazioni, anche ogni possibile informazione sui processi fino alla fine dell'udienza preliminare dimenticando che quel negro di Patrick Lubumba, accusato di aver ucciso a Perugia Meredith Kercher - Filippo Pappalardi, accusato aver ucciso a Gravina i suoi due figli - le insegnanti di Rignano, accusate di pedofilia - hanno salvato la pelle proprio perché c'è stata un'informazione prima dell'udienza preliminare che probabilmente, a giornalismo muto e cieco, li avrebbe dannati per sempre.
Ne è esempio pure la generosa iniziativa dei giornalisti raccolti nel cartello "Arrestateci tutti" come se ormai soltanto il martirio fosse possibile - e null'altro - per chi ha il dovere di raccontare. Ora che si tratta di mettersi al lavoro con maggiore lena - e senza timore e senza speranza - si abbandona il campo accompagnati, appunto, da una "rassicurante frustrazione".
Come se la partita fosse soltanto il gioco solitario e irreparabile di Berlusconi contro le regole della Repubblica. E non dei cittadini a fronte di un'iniziativa che, per proteggere Iddu, rende la società meno sicura, le istituzioni più deboli, il diritto storto. In scena non c'è un solo protagonista (è un tragico errore crederlo). Gli attori, ammesso che abbiano la voglia e il coraggio di mostrarsi, possono essere ancora molti e decisivi. E buoni e convincenti gli argomenti da offrire all'opinione pubblica. Per dire.
Può il capo del governo imbrogliare il garante della Costituzione? Può inserire con un artificio un codicillo già respinto per l'inesistenza di "necessità e urgenza"? Deve firmarlo il Capo dello Stato? Può non firmarlo? E' una strada "difficilmente praticabile", si dice, anche perché "non ci sono precedenti". E si comprende. La Costituzione dà per implicita la leale collaborazione tra gli organi dello Stato. Quando questa non c'è o diventa beffa, bisogna esplorare strade nuove. Esistono? Quali sono? Quale contributo culturale intende dare oggi la società dei costituzionalisti a questo confronto? Il governo diffonde la bubbola che il codicillo (liberatorio per Berlusconi) consente ai giudici di affrontare i reati più gravi.
Questa saggezza già fa parte del quotidiano lavoro dei giudici. Quel che non vi fa parte (ecco la maligna novità) è mettere una pietra su reati di particolare allarme sociale, gli stupri, i furti, le rapine. Davvero la Lega potrà spiegare ai suoi elettori che non ha votato l'indulto nella scorsa legislatura e, una volta al governo, ha dato il via libera a un'amnistia di massa, per favorire l'interesse personale di Iddu a scapito della sicurezza di tutti? E' un affare che non può essere affidato - pare chiaro - alle proteste delle sole toghe o alle urla nelle aule del Parlamento (durano il titolo di un Tg).
Dove sono tutti gli altri? La Confindustria evoca a ogni piè sospinto merito, concorrenza e mercato. Davvero può accettare che la magistratura sia senza unghie nel controllo dell'abuso di informazioni privilegiate, della manipolazione del mercato, della bancarotta fraudolenta, del rialzo fraudolento dei prezzi? Marcegaglia, Confindustria, e Guidi, giovani di Confindustria (così entusiasta e tremula accanto a Berlusconi in quel di Santa Margherita) dovrebbero far sapere se condividono o censurano l'idea di lasciare in ombra, come fossero reati trascurabili, l'estorsione, l'usura, l'associazione per delinquere. Le signore dovrebbero, quanto meno, farlo sapere agli imprenditori di Sicilia ai quali è stato spiegato che Confindustria (ma era quella di Montezemolo) vuole fare sul serio contro il crimine e l'illegalità.
Prima di convocare uno sciopero pur necessario, forse varrebbe la pena che i giornalisti spiegassero ai lettori che la difesa della privacy invocata dal governo è soltanto un'illusione ottica perché l'accesso abusivo a un sistema informatico (come è avvenuto al Corriere della Sera e a un altro paio di migliaia di innocenti target) diventa, con le trovate di Berlusconi e del suo avvocato, una burla e con un paio di biglietti da dieci chiunque potrà procurarsi - impunito - un tabulato telefonico.
Forse sarebbe meglio affrontare tutti coloro (e sono moltissimi, i più) che sono sordi ai guai giudiziari di Berlusconi e pensano che "vabbè, è un corruttore, ma per me va bene lo stesso...". Forse bisogna informarli che, non di Berlusconi si discute, ma della loro, personale sicurezza. Perché se, come sostiene l'avvocato del Cavaliere, diventano reatucci la rapina semplice, il furto in appartamento, l'omicidio colposo degli ubriaconi al volante, il sequestro di persona non a scopo di estorsione (non erano i partiti di governo a suggerire che le zingarelle portano via i bambini dalla culla?), la sicurezza in pericolo non è quella del capo del governo e del suo legale, ma di chi è esposto a questi reati.
Perché se le decisioni di governo vogliono salvaguardare e proteggere i preti dalle inchieste della magistratura, non di Berlusconi si parla, ma delle attenzioni pedofile che un sacerdote può riservare ai nostri figli. Anche questo va bene a chi si tura il naso? E', infine, un arco di ragioni che dovrebbe interessare soprattutto l'opposizione, sempre che ritorni in sé. Casini dovrebbe dare un senso compiuto alla sua moderazione.
Di Pietro dovrebbe rinunciare a coltivare il disegno del "tanto peggio, tanto meglio". Veltroni, infine, dovrebbe abbandonare il feticcio del dialogo (come se in ballo fosse quello, e soltanto quello) e spiegare alla gente (non sola la sua) quale iniziativa politica, istituzionale, sociale da domani intende muovere per evitare che la sicurezza diventi, per gli italiani meno protetti, un tiro birbone di Iddu. Non è scritto nei vangeli che una società postideologica debba lasciar cadere un'idea di interesse pubblico o ammutolirsi dinanzi all'"intollerabile".
martedì 17 giugno 2008
Più libertà per tutti!
lunedì 16 giugno 2008
Sbattetelo dentro e buttate via le chiavi
Saggi consigli, rischi di conflitto istituzionale, sconvolgimento dei processi in un'intera nazione, rottura con l'opposizione. Ma il Cavaliere mette in gioco tutto pur di evitare un'ipotetica condanna che, a parole, il suo avvocato Niccolò Ghedini continua ad escludere dal novero delle possibilità. E tuttavia, da una settimana, si lavora in modo febbrile per infilare nel decreto sicurezza la norma che proprio Ghedini aveva proposto sin da quando il governo ha cominciato a lavorare sul pacchetto. Un articolo che suona così: "Nella trattazione dei procedimenti penali e nella fissazione delle udienze è data precedenza ai processi con imputati detenuti e a quelli che abbiano messo in pericolo la sicurezza pubblica o che abbiano comportato grave allarme sociale".
Un diktat alle toghe. Simile a quello che il Csm fece negli anni Settanta per i processi di terrorismo. O come la circolare del procuratore Maddalena per i reati indultati. Mandare avanti i reati gravissimi, mafia e terrorismo, e quelli gravi, furti, rapine, violenze di ogni tipo. Tutto per rispondere all'allarme sicurezza, "come vuole la gente" insiste il Cavaliere. Reati commessi fino al 2001 (giusto come il suo), e quindi a rischio prescrizione, ma con la garanzia che la stessa prescrizione sia sospesa per legge. Restano fuori tutti i delitti dei colletti bianchi, e tra questi ovviamente anche la corruzione giudiziaria del presidente Berlusconi.
Nelle riunioni per definire il ddl sulle intercettazioni si parla anche di questo. Ne discutono tecnicamente Ghedini, il Guardasigilli Angelino Alfano, il ministro dell'Interno Bobo Maroni, l'aennina Giulia Bongiorno. Berlusconi insiste, vuole subito la sospensione e poi il lodo. Giovedì ne parla a pranzo con Bossi e Maroni. Propone che l'emendamento, assieme a quello sull'esercito, venga licenziato nel consiglio del giorno dopo. Una proposta del ministro della Giustizia, di per sé molto impegnativa. Ma ci si ferma su due perplessità non di poco conto. Una politica, se sia opportuno che proprio il governo faccia un simile passo, destinato a sollevare un vespaio. Una di contenuto: basta solo un'indirizzo di priorità alle toghe che lascia loro la discrezionalità di scegliere quali processi anticipare o è necessario bloccare comunque quelli non urgenti (corruzione e altri, leggi Berlusconi) per un anno? Lega e An sono molto perplessi sulla seconda via. Tutto si ferma. Alfano annuncia solo, a consiglio finito, che presenterà un emendamento per dare "la corsia preferenziale ai processi per gli infortuni sul lavoro". Stop. Poi un contentino ai giudici, anche i giovani uditori potranno fare i pm e i giudici nelle terre di frontiera.
Ieri hanno deciso. Non sarà il governo a presentare l'emendamento, ma un esponente del Pdl. Il nome più accreditato è quello di Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali e relatore del dl sicurezza. Ma potrebbe prevalere l'idea di affidarsi a un peones che, come avvenne per Melchiorre Cirami quando nel 2002 presentò la legge sul legittimo sospetto, alla fine darebbe il nome all'ennesima norma salva Berlusconi. Che, se gli indirizzi dell'ultim'ora di ieri saranno confermati, dovrebbe contenere sia l'indicazione delle priorità per i processi che la sospensione per un anno. Che potrebbe anche essere reiterata per altri 12 mesi. Berlusconi, del resto, ha poco tempo. Il processo Mills è agli sgoccioli. E l'accelerazione imposta dai giudici della decima sezione del tribunale di Milano lo preoccupa.
Venerdì è saltata una trasferta a Lugano perché un testimone della difesa, il banchiere Paolo Del Bue, ha presentato un certificato medico. Ma le udienze che mancano sono poche e, salvo ostacoli, la sentenza potrebbe arrivare prima delle vacanze. La sospensione dei processi serve come il pane. Poi ci sarà tutto il tempo per approvare un nuovo lodo Schifani.
venerdì 13 giugno 2008
Era inevitabile
Articolo Di Carlo Vulpio
Non fosse stato per l'inchiesta Why Not che tolse al pm Luigi de Magistris — inchiesta in cui finirono indagati anche l'ex ministro della Giustizia Clemente Mastella e l'ex premier Romano Prodi —, nessuno avrebbe mai saputo nulla del dottor Dolcino Favi. Ma da quel 19 ottobre 2007, quando da procuratore generale reggente di Catanzaro avocò a sé Why Not, Dolcino Favi da Siracusa non è più un Carneade. Perché quel giorno adottò il provvedimento più importante della sua vita. E lo fece con un tempismo e una determinazione che forse egli stesso non aveva mai sospettato di avere: Favi avocò Why Not giusto una settimana prima che scadesse la sua «reggenza » e quando il Csm aveva già nominato il procuratore titolare; subito dopo, attuò l'avocazione in una forma mai vista prima, facendo aprire la cassaforte dell'ufficio del pm de Magistris a sua insaputa, prelevandone tutti gli atti d'inchiesta. Disse, Favi, che de Magistris era in conflitto d'interessi, perché aveva iscritto sul registro degli indagati il ministro Mastella, che aveva chiesto il trasferimento del pm. E disse anche, Favi, che doveva essere il tribunale dei ministri a giudicare Mastella, benché de Magistris avesse replicato che Mastella era stato iscritto non da ministro, ma da senatore.
Dopo, diversi mesi dopo, su questi due punti cruciali de Magistris potrà dire di aver avuto ragione. Troppo tardi però. Su di lui, come sul gip di Milano, Clementina Forleo, pende una pesante quanto discutibile richiesta di trasferimento, che per entrambi è basata sullo stesso «giudizio di idoneità» formulato dal membro del Csm Letizia Vacca, che li liquidò definendoli «due cattivi magistrati». Un giudizio basato anche, veniamo a sapere oggi, sulla instancabile opera di denuncia del dottor Dolcino Favi. Ma oggi Favi, che è tornato a fare l'avvocato dello Stato, è indagato dalla procura di Salerno per rivelazione e utilizzo di segreti d'ufficio, diffamazione e calunnia. Uno dei protagonisti, sostengono i pm Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, dell' operazione di denigrazione e delegittimazione del pm de Magistris, studiata a tavolino dai vertici della magistratura lucana e calabrese in combutta con politici e imprenditori. Tutta gente che adesso è indagata a Salerno.
Non più Carneade, dunque. Ma tanta notorietà forse Dolcino Favi non se l'aspettava. Non solo per l'avocazione di Why Not, ma anche per quella interrogazione parlamentare su di lui presentata nel 1989 da quattro deputati radicali — Mellini, Calderisi, Vesce e Rutelli. In quell'anno, da pubblico ministero a Siracusa, Favi venne accusato di violare sistematicamente le norme a tutela dei diritti fondamentali dell'individuo, di avere rapporti con la malavita, di aver falsificato una delega del procuratore della Repubblica di Messina per il compimento di un atto istruttorio, facendosi da sé un fonogramma e di aver firmato mandati di cattura nei confronti di alcuni magistrati catanesi sulla base di intercettazioni telefoniche irregolari. Non solo. Favi fu anche accusato di aver prodotto davanti al Csm giustificazioni inesistenti, documenti falsi e di aver persino inventato reati per la vicenda di un cavallo imbizzarrito che aveva ferito il pretore di Lentini. Insomma, un vero garantista. E infatti nei confronti di Favi il Csm e la giustizia ordinaria non hanno fatto assolutamente nulla.
giovedì 12 giugno 2008
Fulmini su Entebbe - L’operazione “Thunderbolt”, 3 luglio 1976
Israele, 27 giugno 1976. Alle 8:59 decolla dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv il volo 139 dell’Air France, con 198 passeggeri e membri dell’equipaggio a bordo. Si tratta di un volo di routine per Parigi con scalo ad Atene, dove si imbarcheranno altri 58 passeggeri. Tra questi vi sono due tedeschi, un uomo e una donna, in viaggio con falsi passaporti sudamericani; sono membri dell’organizzazione R.A.F. (Rote Armee Fraktion, Frazione dell’Armata Rossa), meglio nota come gruppo Baader-Meinhof (dai nomi dei suoi fondatori, Andreas Baader e Ulrike Meinhof), un’organizzazione terroristica di stampo anarco-comunista simile alle nostre Brigate Rosse, attiva in Germania Occidentale dal 1968. Insieme a loro vi sono due arabi palestinesi, membri del F.P.L.P. (Fronte Popolare di Liberazione della Palestina), un’organizzazione che collabora con il gruppo Baader-Meinhof fin dall’attentato alla squadra olimpica israeliana alle olimpiadi di Monaco ’72.
La sicurezza all’aeroporto di Atene è fiacca, come sempre: il metal detector non è sorvegliato, e l’agente di sicurezza in servizio presta poca attenzione all’apparecchio a raggi X. Otto minuti dopo il decollo da Atene, il volo 139 dell’Air France con 256 passeggeri e membri dell’equipaggio a bordo viene dirottato dalla “cellula Che Guevarra dell’unità Haifa” del F.P.L.P.
Pochi minuti dopo aver ricevuto la notizia, l’Ufficio Operazioni delle F.D.I. (Forze di Difesa Israeliane, in ebraico thazal) avvia la procedura prevista in caso di dirottamento aereo: unità militari vengono inviate all’aeroporto di Tel Aviv per stabilire un posto di comando; vengono allertati i caccia, perché si teme che i terroristi mirino ad atterrare in Israele o, peggio, a lanciarsi come kamikaze su qualche città israeliana. Ma Israele non sarà la destinazione del volo 139. A quattro ore dal dirottamento, l’aereo ottiene il permesso di fare scalo a Bengasi, in Libia, dove si rifornisce di carburante; prosegue poi in direzione dell’Africa centrale, per atterrare all’aeroporto di Entebbe, nel piccolo stato dell’Uganda. Dopo aver trascorso la notte sull’aereo, i passeggeri vengono trasferiti dai terroristi (altri 10 uomini del F.P.L.P. si sono nel frattempo aggiunti ai quattro dirottatori) e dai soldati ugandesi nell’edificio del vecchio terminal. Lo stesso presidente-dittatore dell’Uganda, il generale Idi Amin, fa una breve apparizione personale per tenere un discorso a favore del F.P.L.P. davanti agli atterriti ostaggi.
A Gerusalemme il Capo di Stato Maggiore delle F.D.I., generale Mordechai “Motta” Gur, si riunisce con il ministro della Difesa Shimon Peres e il Primo Ministro Yitzhak Rabin per discutere sul da farsi. Gur è convinto che esistano i presupposti per un’azione di forza; su suo ordine, il generale Yekutiel “Kuti” Adam, capo dell’Ufficio Operazioni, ha già preparato tre possibili piani: un lancio di paracadutisti su vasta scala, un attacco dal lago Vittoria con dei gommoni, o un rapido assalto e rimozione degli ostaggi per via aerea. Viene scelto l’ultimo piano. Il comando dell’operazione, nome in codice “Thunderbolt”, viene affidato al generale di brigata aerea Dan Shomron, mentre la forza d’attacco, incaricata della liberazione fisica degli ostaggi, sarà guidata dal tenente colonnello Yonatan “Yoni” Netanyahu.
Il 30 giugno, mentre Gur e i suoi stanno riesaminando il piano, sinistri sviluppi hanno luogo a Entebbe: il terrorista tedesco Wilfried Boese legge la lista dei passeggeri, e coloro il cui nome “suona” ebraico vengono separati dagli altri e rinchiusi in una stanza separata; tutti gli altri saranno liberati l’indomani. Inutile dire che questo fatto risveglia tristi ricordi nella memoria ebraica, ricordando le “selektion” che i medici nazisti facevano nei campi di concentramento per decidere chi sarebbe vissuto e chi invece sarebbe finito nelle camere a gas. Questo non fa che accrescere il senso di urgenza per un’azione di salvataggi; rende il tutto anche più semplice, perché ora gli ostaggi da salvare sono “solo” 103. I terroristi pretendono il rilascio di numerosi loro compagni detenuti nelle carceri israeliane; il governo Rabin decide di trattare, al fine di guadagnare tempo e di rimandare il più possibile l’uccisione degli ostaggi.
Al loro arrivo a Parigi, gli ostaggi rilasciati forniscono una grande quantità di informazioni preziose. Si viene così sapere che l’edificio del vecchi terminal, dove sono rinchiusi gli ostaggi, è stato costruito da una ditta israeliana; le piante vengono immediatamente confiscate per realizzare un modello in scala dell’impianto, dove il team d’assalto possa esercitarsi notte e giorno. Gli uomini che dovranno procedere alla liberazione degli ostaggi provengono dalla sayeret mat’kal, un’unità di ricognizione e inteligence posta direttamente sotto il comando dello Stato Maggiore israeliano: sono il meglio che sia disponibile in Israele.
All’alba del 2 luglio viene eseguita una prova generale dell’assalto; tempo impiegato per l’operazione: 55 minuti. Quella stessa notte viene eseguita un’altra prova generale, questa volta anche con i velivoli C-130 Hercules, che porteranno il team a Entebbe. Il Capo di Stato Maggiore Gur, presente all’esercitazione, tiene un breve discorso davanti alle truppe e ai loro comandanti; poi telefona al ministro della Difesa: “Siamo pronti”. Ora manca solo l’autorizzazione dell’esecutivo.
La notte del 3 luglio, i quattro C-130 dell’Aviazione israeliana che porteranno la squadra d’assalto vengono caricati e riforniti per il lungo volo per Entebbe; il Corpo Comunicazioni delle F.D.I. appronta un Boeing 707 che sarà usato come centro di comando per l’operazione, mentre il Corpo Medico attrezza un altro 707 come ospedale volante, perché ci si aspetta un gran numero di feriti. Nethanyau e il suo vice trascorrono gran parte della mattinata a riesaminare il piano e a elaborare possibili soluzioni per eventuali imprevisti: in un’operazione del genere non si può dare nulla per scontato. Benché manchi ancora l’autorizzazione governativa, i sei aerei decollano alle 16:00 dalla base aerea di Ophira, alla volta di Entebbe. Solo quando hanno già lasciato lo spazio aereo israeliano giunge la parola d’ordine di autorizzazione: “Go”.
Il volo di 3800 km per Entebbe richiede sette ore, e alle 11:01, con solo trenta secondi di ritardo sulla tabella di marcia, il primo C-130, con a bordo gli uomini del sayeret mat’kal e il colonnello Nethanyau, giunge in vista dell’aeroporto. Per confondere il radar della torre di controllo, il velivolo si avvicina seguendo un normale volo di linea. Non appena tocca terra, alcuni israeliani schizzano fuori dai portelli laterali con l’aereo ancora in movimento, per prendere il controllo della pista. Una volta fermo, dalla rampa posteriore dell’aereo scendo i veicoli del commando: sono due Land Rover e una Mercedes nera, utilizzate per simulare una visita a sorpresa del presidente Amin, ed evitare di mettere in allarme i soldati ugandesi. Mentre si dirige verso l’edificio del vecchio terminal, il convoglio incontra due soldati ugandesi di guardia ad un posto di controllo. Notando qualcosa di sospetto, i due sparano qualche colpo di avvertimento verso il convoglio, prima di essere falciati dalle armi dotate di silenziatore degli israeliani. Gli spari svegliano gli ostaggi, che stanno dormendo sul pavimento del terminal, e mettono in allarme i terroristi che li sorvegliano. Ma ormai è troppo tardi.
Solo 15 secondi dopo gli spari delle sentinelle ugandesi, il commando israeliano attacca il terminal ed elimina uno ad uno i terroristi. Il tempo dei silenzi è ormai finito: soldati israeliani dotati di megafoni urlano in ebraico e in inglese: “Siamo dello tzahal, state giù!”.
Sette minuti più tardi atterra il secondo C-130 con a bordo un secondo commando e la jeep del generale Shomron. Subito dopo atterra il terzo aereo, che scarica una forza di fanteria meccanizzata appartenente alla sayeret golani (l’unità da ricognizione della brigata Golan, una delle migliori dell’esercito israeliano) dotata di veicoli corazzati M113 APC (Armoured Personnel Carrier, veicolo da trasporto truppe corazzato), il cui compito è di contrastare eventuali reazioni dell’esercito ugandese e di distruggere i caccia MIG di stanza a Entebbe. Seguono poi il quarto C-130 e il Boeing del Corpo Medico, che vengono subito caricati con i feriti e con gli ostaggi liberati. Alle 11:58, 57 minuti dopo l’atterraggio del primo aereo, tutti gli ostaggi sono liberati e portati fuori da Entebbe; 33 minuti dopo, l’ultimo aereo israeliano decolla con il generale Shomron a bordo. Resoconti riferiscono che ore dopo la partenza dell’ultimo israeliano, a Entebbe si sentiva ancora sparare.
Alla fine furono uccisi 13 membri del F.P.L.P. e 35 soldati ugandesi; undici caccia MIG 17 e MIG 21 dell’aviazione ugandese furono distrutti, per assicurarsi che i vulnerabili C-130 non venissero inseguiti. Morirono anche tre ostaggi, come pure il comandante della forza d’attacco, tenente colonnello Yonatan Netanhyau, colpito da un soldato ugandese. La mattina del 4 luglio 1976, gli ostaggi rientrarono in Israele, accolti come eroi tra manifestazioni di gioia, sollievo e orgoglio nazionale.
Entebbe fu un’importante vittoria per Israele, per tre motivi: in primo luogo, rese consapevole il mondo occidentale, fino ad allora piuttosto distratto, dei pericoli del terrorismo; in secondo luogo, inflisse al terrorismo palestinese, e in particolare all’F.P.L.P., una sconfitta pubblica, dura ed umiliante. Ma soprattutto, rialzò il morale della nazione dopo la quasi disfatta della guerra “d’ottobre” del 1973, e segnò la fine di un periodo di disfattismo che aveva pervaso alcuni ambienti delle F.D.I.: il vecchio tzahl capace di ogni cosa era tornato sulla scena. Sapevano di essere i migliori, e ora lo sapeva anche il resto del mondo.
Il resoconto dell’operazione è tratto da Le Forze di Difesa Israeliane dal 1973 di Sam Katz, Osprey Publishing.
mercoledì 11 giugno 2008
ITALIA WAVE LOVE FESTIVAL 2008
"Quattro giorni di eventi tra musica, letteratura, cinema, fumetti… e mare! E' così che si presenta Italia Wave a Livorno: dal 16 al 19 Luglio Chemical Brothers e Verve in esclusiva nazionale, Gnarls Barkley, Sud Sound System, Elio e le Storie Tese, Wombats, Linea 77, Sergent Garcia, Bugo, Tricarico, Pivot, Stereo Total, Ralf, Radici nel cemento, Paolo Benvegnù… Ma anche Carlo Lucarelli, il Vernacoliere, Paolo Migone, lezioni di rock (e non solo) sui battelli livornesi…"
- 16/06 - Fiori di Bach, Deti Picasso, Linea77, The Wombats, The Verve: 15 €
- 17/06 - Il Pan Del Diavolo, Saba, Freshlyground, Sergent Garcia, Gnarls Barkley: 15€
- 18/06 - Il Maniscalco Maldestro, John De Leo, Tricarico, Sud Sound System & Bag a Riddim band, Elio e Le Storie Tese: 15€
- 19/06 - Heike Has The Giggles, Vanessa de Mata, Konono N°1, Pivot, Chemical Brothers: 25€
Spero solo di trovar qualcuno che mi accompagni.. e che magari mi ospiti. Ah dimenticavo, sul sito potete trovare tutte le info su come raggiungere l'Italian Wave sia in treno, in macchina, in aereo o in nave. Ed a proposito di dormire c'è anche una google-map che vi può servire a trovar un luogo dove pernottare.
Ringrazio Luca Becattini, autore del post, per la concessione a pubblicarlo in questo blog.
blog originale GAZZETTINO del BECA
martedì 10 giugno 2008
Legge Arsenio Lupin
Pierpaolo Brega Massone, nomen omen, capo della chirurgia toracica nella clinica Santa Rita convenzionata con la Regione Lombardia, l’uomo che in un sms si definiva “l’Arsenio Lupin della chirurgia”, è decisamente sfortunato. Se avesse atteso la legge Berlusconi sulle intercettazioni prima di architettare le truffe e gli scambi di fegati, polmoni, milze e cistifellee contestati dagl’inquirenti, sarebbe libero di proseguire i suoi maneggi con rimborso a pie’ di lista con i colleghi e/o complici. Invece è stato precipitoso. Uomo di poca fede, ha sottovalutato le potenzialità impunitarie del premier.
Ora qualcuno parlerà di “arresti a orologeria” (nella solita Milano) per bloccare la mirabile riforma del Cainano: per non disturbare, gli inquirenti milanesi avrebbero dovuto aspettare qualche altra settimana e lasciar squartare qualche altra decina di pazienti. Perché quel che emerge dalle intercettazioni dell’inchiesta sulla clinica Santa Rita fa piazza pulita di tutte le balle e i luoghi comuni che la Casta, anzi la Cosca sta ritirando fuori per cancellare anche l’ultimo strumento investigativo che consente di scoprire i suoi reati. Le intercettazioni dei simpatici dottori sono contenute nelle ordinanze di arresto, dunque non sono più segrete, ergo i giornalisti le pubblicano.
Qualcuno può sostenere che così si viola la privacy degli arrestati? O che, altra panzana a effetto, si viola la privacy dei non indagati? Sappiamo tutto delle malattie dei pazienti spolpati in sala operatoria per incrementare i rimborsi regionali: più violazione della privacy di questa, non si può. Eppure nemmeno la privacy dei pazienti innocenti, anzi vittime, può prevalere sul diritto dei cittadini (comprese le altre vittime reali o potenziali della truffa) di sapere tutto e subito. Sì, subito, con buona pace dei vari Uòlter, che ancora la menano sul divieto di pubblicare intercettazioni pubbliche fino al processo (che si celebrerà, se va bene, fra 3-4 anni).
Restano da esaminare le altre superballe di marca berlusconiana (ma non solo).
1) Le intercettazioni in Italia sarebbero “troppe”. Il Guardasigilli ad personam Alfano dice addirittura che “gran parte del Paese è sotto controllo”. Figuriamoci: 45 mila decreti di ascolto all’anno, su 3 milioni di processi, sono un’inezia. Le intercettazioni non sono né poche né troppe: sono quelle che i giudici autorizzano in base alle leggi vigenti, in rapporto all’unico parametro possibile: le notizie di reato. In Italia ci sono troppi reati e delinquenti, non troppe indagini e intercettazioni. L’alto numero di quelle italiane dipende dal fatto che da noi possono effettuarle solo i giudici, con tutte le garanzie dal caso, dunque la copertura statistica è del 100%. Negli altri paesi a intercettare sono soprattutto servizi segreti e polizie varie (in Inghilterra addirittura il servizio ambulanze e gli enti locali), senz’alcun controllo né statistica.
2) Le intercettazioni andrebbero limitate in nome della privacy. Altra superballa: la privacy è tutelata dalla legge sulla privacy, che però si ferma là dove iniziano le esigenze della giustizia. Ciascuno rinuncia a una porzione della sua riservatezza per consentire allo Stato, con telecamere sparse in ogni dove e controlli svariati, di reprimere i reati e proteggere le vittime.
3) Le intercettazioni “costano troppo”. Mavalà. A parte il fatto che costano molto meno di quanto fanno guadagnare allo Stato (due mesi di ascolti a Milano sulle scalate bancarie han fatto recuperare 1 miliardo di euro, quanto basta per finanziare 4 anni d’intercettazioni in tutt’Italia, che nel 2007 son costate 224 milioni), potrebbero costare zero euro se lo Stato, anziché pagare profumatamente i gestori telefonici, li obbligasse - sono pubblici concessionari - a farle gratis. Un po’ come si fa per le indagini bancarie, che gli istituti di credito - pur essendo soggetti privati - svolgono gratuitamente.
4) I giudici - si dice - devono tornare ai “metodi tradizionali” e intercettare di meno. Baggianata sesquipedale: come dire che i medici devono abbandonare la Tac e tornare allo stetoscopio. Una conversazione carpita a sorpresa è un indizio molto più sicuro e genuino di tante dichiarazioni di testimoni o pentiti. E poi di quali “metodi tradizionali” si va cianciando? Se nessuno più parla perché i collaboratori di giustizia sono stati aboliti per legge (art. 513, “giusto processo”, legge sui pentiti) e l’omertà mafiosa viene pubblicamente elogiata (“Mangano fu un eroe perché in carcere non parlò”), come diavolo si pensa di scoprirli, i reati? Travestendosi da Sherlock Holmes e cercando le impronte con la lente d’ingrandimento?
Inventatevene un’altra, per favore.
lunedì 9 giugno 2008
Rapporto sui diritti globali 2008
Condizioni dei migranti
Alle frontiere dell’Unione Europea o degli Stati Uniti «il continuo aumento di controlli e di pratiche per contrastare i flussi di immigrazione illegale portano le organizzazioni criminali dei traffici di migranti a cercare sempre nuove vie e modalità, aumentando i rischi per le persone, che pagano con la vita. Il bollettino di guerra alle migrazioni alle porte della Ue -sottolinea il Rapporto- è drammatico e crescente: almeno 1.860 morti nel 2007, dei quali 1.684 hanno perso la vita nelle acque del Mediterraneo e dell’Atlantico, per un totale complessivo di vittime delle migrazioni verso l’Ue stimato in 12.000 negli ultimi 20 anni».
Per quanto riguarda i centri nei quali gli immigrati vengono trattenuti, nella Ue «i tempi di detenzione superano spesso i tre mesi e possono raggiungere i 20 mesi e più» all’interno di «strutture che nella maggior parte dei casi sono inadeguate e riciclate» ed hanno tra l’altro «condizioni materiali ed igieniche in molti casi insufficienti».
Infortuni sul lavoro
Le «strutture cardine del sistema sicurezza italiano» hanno mostrato, per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro, «tutta la loro interna corrosione: si viaggia ad un ritmo di ben oltre 1.000 morti sul lavoro e più di 900.000 infortuni all’anno». È il Rapporto sui diritti globali 2008, presentato oggi nella sede della Cgil, a sottolinearlo precisando che si tratta delle «cifre ufficiali fornite dall’Inail, senza contare i casi di infortuni anche mortali e gravi che si annidano nel lavoro sommerso ed irregolare, invisibili per definizione alle statistiche ufficiali».
Sotto il profilo normativo, «pur introducendo norme positive ed ampiamente condivisibili, la legge 123/2007 non ha sciolto i nodi irrisolti del sistema di governo della sicurezza. Per molti versi, anzi, ne ha accentuato i limiti laddove ha insistito sulla definizione di profili sanzionatori più severi senza ricondurli a strategie di prevenzione e governo più elastiche, articolate ed incisive».
In un panorama «così critico» non mancano però «elementi e spunti positivi», che vanno «dalle campagne di comunicazione sociale sulla prevenzione e sulla sicurezza alle proposte che tendono al ridisegno sostanziale della vigente normativa».
Guerre e armamenti
All’inizio del 2008 si contavano 26 conflitti in corso nel mondo, mentre la spesa militare mondiale ha superato i 1200 miliardi di dollari l’anno. Delle 26 guerre, undici sono in Asia, dieci in Africa, tre in Medio Oriente, una in America Latina e una in Europa, nota il rapporto, secondo il quale «il mondo è troppo instabile per essere gestito come negli ultimi anni». «La risposta data dall’amministrazione Bush/Cheney agli attentati dell’11 settembre 2001 è stata infatti quella auspicata da chi li ha progettati: creare una spirale guerra-terrorismo», afferma il documento, riferendosi alla politica adottata dagli Stati Uniti.
domenica 8 giugno 2008
La sicurezza e gli imprenditori della paura
Tratto da “la Repubblica”, 22 maggio 2008
Il caso ha voluto che l’annuncio del "pacchetto sicurezza" coincidesse con la discussione al Parlamento europeo sugli immigrati in Italia, alla quale la maggioranza ha reagito condannandola come una manovra contro il Governo. Brutto segno, perché rivela che non v’è consapevolezza della gravità di quel che è accaduto a Ponticelli, con un assalto razzista che la dice lunga sulle responsabilità dei molti "imprenditori della paura" all’opera in Italia.
Invece di riflettere su un caso che ha turbato l’Europa, ci si rifugia nella creazione di un nemico "esterno" dopo aver individuato il nemico "interno" nell’immigrato clandestino, nell’etnia rom. Ma l’iniziativa europea non è pretestuosa, perché i trattati sono stati modificati per prevedere un obbligo dell’Unione di controllare se gli Stati membri rispettano i diritti fondamentali.
Una prima valutazione del "pacchetto" mette in evidenza, accanto all’opportunità di alcune singole misure (come quelle relative all’accattonaggio e ai matrimoni di convenienza), una scelta marcata verso la creazione di un vero e proprio "diritto penal-amministrativo della disuguaglianza". Vengono affidati a sindaci e prefetti poteri che incidono sulla libertà personale e sul diritto di soggiorno delle persone, con una forte caduta delle garanzie che pone problemi di costituzionalità e di rispetto delle direttive comunitarie. Il diritto della disuguaglianza può manifestarsi anche attraverso le norme che prevedono la confisca degli immobili affittati a stranieri irregolari e disciplinano il trasferimento di denaro all’estero. Infatti, può determinarsi una spinta verso un ulteriore degrado urbano, visto che gli irregolari saranno obbligati a cercare insediamenti di fortuna. E la stretta sulle rimesse degli irregolari potrebbe far nascere forme odiose di sfruttamento da parte di intermediari.
Lo spirito del pacchetto si coglie con nettezza considerando il reato di immigrazione clandestina. A nulla sono servite le perplessità all’interno della maggioranza, i moniti del mondo cattolico (da ascoltare solo quando invitano ad opporsi alle unioni di fatto e al testamento biologico?), le osservazioni degli studiosi. Si fa diventare reato una semplice condizione personale, l’essere straniero, in contrasto con quanto la Costituzione stabilisce in materia di eguaglianza. Si prevedono aggravanti per i reati commessi da stranieri, incrinando la parità di trattamento con riferimento alla responsabilità personale.
È inquietante la totale disattenzione per quel che ha già stabilito la Corte costituzionale, in particolare con la sentenza n. 22 del 2007 che ha messo in guardia il legislatore dal prendere provvedimenti che prescindano «da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili», introducendo sanzioni penali «tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi di eguaglianza e proporzionalità». Questa logica va oltre il reato di immigrazione clandestina, impregna l’intero pacchetto, ignorando che «lo strumento penale, e in particolare la pena detentiva, non sono, in uno Stato democratico, utilizzabili ad libitum dal legislatore».
Dopo aver annunciato una sorta di secessione dall’Unione europea, accusata di faziosità, il Governo prende congedo dalla legalità costituzionale? Il Governo dovrebbe sapere che i suoi provvedimenti possono essere cancellati da una dichiarazione di incostituzionalità. Rimarrebbe, allora, solo l’"effetto annuncio" per gli elettori del centrodestra.
Così, neppure l’efficienza è assicurata. Un solo esempio. Tutti sanno che sono state presentate 728.917 domande di permesso di soggiorno (411.776 vengono da colf e badanti). I posti disponibili sono 170.000. Una volta esaurite le pratiche burocratiche, dunque, rimarranno fuori 558.917 persone. Che cosa si vuole farne? Che senso ha, di fronte a questa situazione, parlare di reato e abbandonarsi a proclamazioni «mai più sanatorie»?
Ora i governanti parlano di una attenzione particolare per le badanti, ma la soluzione non sta nella ridicola procedura della legge Bossi-Fini, che subordina l’ingresso in Italia alla preventiva chiamata di un datore di lavoro. Chi farebbe arrivare una badante, alla quale affidare funzioni di cura, senza averla vista in faccia? Ed è inaccettabile la furbesca soluzione di far tornare: gli immigrati per una settimana nel loro paese, farli poi chiamare dal loro attuale datore di lavoro e così farli rientrare regolarmente. Ma che razza di paese è quello che dà una lezione di aggiramento delle leggi proprio agli immigrati dai quali si pretende il rispetto della legalità?
Si dice: in altri paesi l’immigrazione clandestina è reato. Ma non si può usare la comparazione prescindendo dal contesto costituzionale, dalle modalità che regolano l’accesso, dal sistema giudiziario. Quali effetti avrebbe sul nostro sistema giudiziario e sulle carceri l’introduzione di quel reato? Sarebbe insensato caricare le corti di diecine di migliaia di nuovi processi, condannando a morte un processo penale già in crisi profonda e rendendo più complesse le stesse espulsioni. Le carceri, già strapiene, scoppierebbero, o salterebbero tutte le garanzie facendo diventare i Cpt veri centri di detenzione. E tutto questo per colpire persone considerate pericolose "a prescindere", quasi tutte colpevoli solo di fuggire per il mondo alla ricerca di una sopravvivenza dignitosa. E la promessa di accoglienza per le badanti "buone", lascia intravedere ritardi burocratici e possibili arbitri. Si corre il rischio di avere norme, insieme, pericolose e inefficienti.
Queste contraddizioni nascono dal trascurare le diverse forme di sicurezza che proprio l’immigrazione ha prodotto. Per le persone e le famiglie, anzitutto. Come ricorda Luca Einaudi nel libro su "Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità ad oggi", le schiere delle badanti hanno consentito di passare da un welfare sociale ad un welfare privato, diffondendo l’assistenza alle persone al di là delle classi privilegiate. Vi è stata sicurezza anche per il sistema delle imprese, provviste di manodopera altrimenti introvabile. E sicurezza per il paese, visto che è stato proprio il contributo al Pil degli immigrati ad evitare rischi di recessione tra il 2003 e il 2005, a contribuire al pagamento delle pensioni di tutti.
Detto questo, il tema dell’insicurezza non può essere affrontato ricordando solo che le statistiche sull’andamento dei reati dimostrano, almeno in alcuni settori, una loro diminuzione. Il senso di insicurezza non nasce solo dal diffondersi di fenomeni criminali, ma da una richiesta di protezione contro un mondo percepito come ostile, contro presenze inattese in territori da sempre frequentati da una comunità coesa, dunque contro mutamenti culturali. Che cosa fare?
Quando un sindaco coglie pulsioni profonde tra gli abitanti del suo comune, non può andare in televisione dicendo «non chiedo la pena di morte, ma capisco chi la invoca». Deve piuttosto evocare l’ombra di un Gran Lombardo e ricordare che Beccaria contribuì all’incivilimento del mondo con le sue posizioni contro la pena di morte. Quando un sindaco vede a disagio i suoi concittadini nella piazza del paese, non fa togliere le panchine per evitare che gli immigrati vadano lì a sedersi. Quando le situazioni s’infiammano, non si propone un "commissario per i Rom", confermando così l’ostilità contro un’etnia intera. Qui sta la differenza tra svolgere una funzione pubblica e il farsi imprenditori della paura.
Nel discorso di presentazione del Governo, il Presidente del Consiglio ha sottolineato che «la sicurezza della vita quotidiana deve essere pienamente ristabilita con norme di diritto che siano in grado di affermare la sovranità della legge in tutto il territorio dello Stato». Ben detto. Si aspetta, allora, una strategia di riconquista delle regioni perdute, passate sotto il controllo di camorra, ‘ndrangheta, mafia. Non è un parlar d’altro. Proprio la terribile vicenda napoletana ha messo in evidenza il protagonismo della camorra, unico potere presente, imprenditore della paura che esercita la violenza per accrescere la propria legittimazione sociale.
La discussione parlamentare deve ripulire il "pacchetto", concentrarsi sulla migliore utilizzazione delle norme esistenti, sul rafforzamento delle capacità investigative, sull’adeguamento delle risorse. Mano durissima contro le vere illegalità, contro chi sfrutta il lavoro nero e contro il caporalato, contro le centrali del commercio abusivo, dell’accattonaggio, della prostituzione. Non ruolo da sceriffo, ma capacità di mediazione da parte dei sindaci, incentivando le "buone pratiche" già in atto in molti comuni.
Mi sarei aspettato qualche proposta complessiva del "governo ombra", non l’eterno agire di rimessa, segno di subalternità. E i sondaggi siano adoperati ricordando la lunga riflessione sui plebisciti come strumenti di manipolazione dell’opinione pubblica. Esempio classico: la richiesta ai cittadini di pronunciarsi sulla pena di morte all’indomani di una strage. La democrazia è freddezza, riflessione, filtro. Se perde questa capacità, perde se stessa.
sabato 7 giugno 2008
Il popolo dei casalesi
Quando ho lasciato ieri sera Casal di Principe dopo il collegamento per Annozero, ho chiesto all'insegnante del liceo scientifico chi era quello straordinario ragazzo che ha letto la lettera "della seconda classe" contro la camorra. E lei mi ha detto che quando è andata in aula a chiedere di partecipare al collegamento, lui si era subito alzato e aveva detto: "io vengo". E un suo compagno: "così ti ammazzano" . E lui:"si muore una sola volta". Sono proprio felice che quella Casal di Principe costretta a vivere in ombra sia riuscita ieri sera a dire la sua. Avevo l'angoscia di trovarmi solo. I giornali e le televisioni locali avevano pubblicizzato l'evento ma i miei punti di riferimento della sfida per la legalità avevano paura di esporsi. Il clima è pesante e fino a quando non saranno catturati i killer che stanno agendo indisturbati, il popolo dei casalesi non può esser lasciato solo. Si, ci vuole la militarizzazione di quel territorio. A giorni, arriveranno anche gli investigatori, quelli che servono per catturare i camorristi. Ma la gente perbene ha bisogno di sentirsi tranquilla e quindi di vedere lo Stato in divisa, h 24, per un lungo periodo. Si sentono tutti bersagli. Dobbiamo fargli sentire che siamo vicini a loro.