Quello che segue potrebbe essere la trama di un film, magari un bel blockbuster action con protagonista Sylvester Stallone. O magari, potrebbe essere tratto dall’ultimo libro di Ken Follet o di Tom Clancy, presto in tutte le migliori librerie. Ma non è così: ciò che segue non è un’opera di fantasia, ma un fatto vero, accaduto realmente. Ciò che segue è la riprova, semmai ce ne fosse bisogno, che molto spesso la realtà supera, e di molto, la fantasia del più malato scrittore o regista….
Israele, 27 giugno 1976. Alle 8:59 decolla dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv il volo 139 dell’Air France, con 198 passeggeri e membri dell’equipaggio a bordo. Si tratta di un volo di routine per Parigi con scalo ad Atene, dove si imbarcheranno altri 58 passeggeri. Tra questi vi sono due tedeschi, un uomo e una donna, in viaggio con falsi passaporti sudamericani; sono membri dell’organizzazione R.A.F. (Rote Armee Fraktion, Frazione dell’Armata Rossa), meglio nota come gruppo Baader-Meinhof (dai nomi dei suoi fondatori, Andreas Baader e Ulrike Meinhof), un’organizzazione terroristica di stampo anarco-comunista simile alle nostre Brigate Rosse, attiva in Germania Occidentale dal 1968. Insieme a loro vi sono due arabi palestinesi, membri del F.P.L.P. (Fronte Popolare di Liberazione della Palestina), un’organizzazione che collabora con il gruppo Baader-Meinhof fin dall’attentato alla squadra olimpica israeliana alle olimpiadi di Monaco ’72.
La sicurezza all’aeroporto di Atene è fiacca, come sempre: il metal detector non è sorvegliato, e l’agente di sicurezza in servizio presta poca attenzione all’apparecchio a raggi X. Otto minuti dopo il decollo da Atene, il volo 139 dell’Air France con 256 passeggeri e membri dell’equipaggio a bordo viene dirottato dalla “cellula Che Guevarra dell’unità Haifa” del F.P.L.P.
Pochi minuti dopo aver ricevuto la notizia, l’Ufficio Operazioni delle F.D.I. (Forze di Difesa Israeliane, in ebraico thazal) avvia la procedura prevista in caso di dirottamento aereo: unità militari vengono inviate all’aeroporto di Tel Aviv per stabilire un posto di comando; vengono allertati i caccia, perché si teme che i terroristi mirino ad atterrare in Israele o, peggio, a lanciarsi come kamikaze su qualche città israeliana. Ma Israele non sarà la destinazione del volo 139. A quattro ore dal dirottamento, l’aereo ottiene il permesso di fare scalo a Bengasi, in Libia, dove si rifornisce di carburante; prosegue poi in direzione dell’Africa centrale, per atterrare all’aeroporto di Entebbe, nel piccolo stato dell’Uganda. Dopo aver trascorso la notte sull’aereo, i passeggeri vengono trasferiti dai terroristi (altri 10 uomini del F.P.L.P. si sono nel frattempo aggiunti ai quattro dirottatori) e dai soldati ugandesi nell’edificio del vecchio terminal. Lo stesso presidente-dittatore dell’Uganda, il generale Idi Amin, fa una breve apparizione personale per tenere un discorso a favore del F.P.L.P. davanti agli atterriti ostaggi.
A Gerusalemme il Capo di Stato Maggiore delle F.D.I., generale Mordechai “Motta” Gur, si riunisce con il ministro della Difesa Shimon Peres e il Primo Ministro Yitzhak Rabin per discutere sul da farsi. Gur è convinto che esistano i presupposti per un’azione di forza; su suo ordine, il generale Yekutiel “Kuti” Adam, capo dell’Ufficio Operazioni, ha già preparato tre possibili piani: un lancio di paracadutisti su vasta scala, un attacco dal lago Vittoria con dei gommoni, o un rapido assalto e rimozione degli ostaggi per via aerea. Viene scelto l’ultimo piano. Il comando dell’operazione, nome in codice “Thunderbolt”, viene affidato al generale di brigata aerea Dan Shomron, mentre la forza d’attacco, incaricata della liberazione fisica degli ostaggi, sarà guidata dal tenente colonnello Yonatan “Yoni” Netanyahu.
Il 30 giugno, mentre Gur e i suoi stanno riesaminando il piano, sinistri sviluppi hanno luogo a Entebbe: il terrorista tedesco Wilfried Boese legge la lista dei passeggeri, e coloro il cui nome “suona” ebraico vengono separati dagli altri e rinchiusi in una stanza separata; tutti gli altri saranno liberati l’indomani. Inutile dire che questo fatto risveglia tristi ricordi nella memoria ebraica, ricordando le “selektion” che i medici nazisti facevano nei campi di concentramento per decidere chi sarebbe vissuto e chi invece sarebbe finito nelle camere a gas. Questo non fa che accrescere il senso di urgenza per un’azione di salvataggi; rende il tutto anche più semplice, perché ora gli ostaggi da salvare sono “solo” 103. I terroristi pretendono il rilascio di numerosi loro compagni detenuti nelle carceri israeliane; il governo Rabin decide di trattare, al fine di guadagnare tempo e di rimandare il più possibile l’uccisione degli ostaggi.
Al loro arrivo a Parigi, gli ostaggi rilasciati forniscono una grande quantità di informazioni preziose. Si viene così sapere che l’edificio del vecchi terminal, dove sono rinchiusi gli ostaggi, è stato costruito da una ditta israeliana; le piante vengono immediatamente confiscate per realizzare un modello in scala dell’impianto, dove il team d’assalto possa esercitarsi notte e giorno. Gli uomini che dovranno procedere alla liberazione degli ostaggi provengono dalla sayeret mat’kal, un’unità di ricognizione e inteligence posta direttamente sotto il comando dello Stato Maggiore israeliano: sono il meglio che sia disponibile in Israele.
All’alba del 2 luglio viene eseguita una prova generale dell’assalto; tempo impiegato per l’operazione: 55 minuti. Quella stessa notte viene eseguita un’altra prova generale, questa volta anche con i velivoli C-130 Hercules, che porteranno il team a Entebbe. Il Capo di Stato Maggiore Gur, presente all’esercitazione, tiene un breve discorso davanti alle truppe e ai loro comandanti; poi telefona al ministro della Difesa: “Siamo pronti”. Ora manca solo l’autorizzazione dell’esecutivo.
La notte del 3 luglio, i quattro C-130 dell’Aviazione israeliana che porteranno la squadra d’assalto vengono caricati e riforniti per il lungo volo per Entebbe; il Corpo Comunicazioni delle F.D.I. appronta un Boeing 707 che sarà usato come centro di comando per l’operazione, mentre il Corpo Medico attrezza un altro 707 come ospedale volante, perché ci si aspetta un gran numero di feriti. Nethanyau e il suo vice trascorrono gran parte della mattinata a riesaminare il piano e a elaborare possibili soluzioni per eventuali imprevisti: in un’operazione del genere non si può dare nulla per scontato. Benché manchi ancora l’autorizzazione governativa, i sei aerei decollano alle 16:00 dalla base aerea di Ophira, alla volta di Entebbe. Solo quando hanno già lasciato lo spazio aereo israeliano giunge la parola d’ordine di autorizzazione: “Go”.
Il volo di 3800 km per Entebbe richiede sette ore, e alle 11:01, con solo trenta secondi di ritardo sulla tabella di marcia, il primo C-130, con a bordo gli uomini del sayeret mat’kal e il colonnello Nethanyau, giunge in vista dell’aeroporto. Per confondere il radar della torre di controllo, il velivolo si avvicina seguendo un normale volo di linea. Non appena tocca terra, alcuni israeliani schizzano fuori dai portelli laterali con l’aereo ancora in movimento, per prendere il controllo della pista. Una volta fermo, dalla rampa posteriore dell’aereo scendo i veicoli del commando: sono due Land Rover e una Mercedes nera, utilizzate per simulare una visita a sorpresa del presidente Amin, ed evitare di mettere in allarme i soldati ugandesi. Mentre si dirige verso l’edificio del vecchio terminal, il convoglio incontra due soldati ugandesi di guardia ad un posto di controllo. Notando qualcosa di sospetto, i due sparano qualche colpo di avvertimento verso il convoglio, prima di essere falciati dalle armi dotate di silenziatore degli israeliani. Gli spari svegliano gli ostaggi, che stanno dormendo sul pavimento del terminal, e mettono in allarme i terroristi che li sorvegliano. Ma ormai è troppo tardi.
Solo 15 secondi dopo gli spari delle sentinelle ugandesi, il commando israeliano attacca il terminal ed elimina uno ad uno i terroristi. Il tempo dei silenzi è ormai finito: soldati israeliani dotati di megafoni urlano in ebraico e in inglese: “Siamo dello tzahal, state giù!”.
Sette minuti più tardi atterra il secondo C-130 con a bordo un secondo commando e la jeep del generale Shomron. Subito dopo atterra il terzo aereo, che scarica una forza di fanteria meccanizzata appartenente alla sayeret golani (l’unità da ricognizione della brigata Golan, una delle migliori dell’esercito israeliano) dotata di veicoli corazzati M113 APC (Armoured Personnel Carrier, veicolo da trasporto truppe corazzato), il cui compito è di contrastare eventuali reazioni dell’esercito ugandese e di distruggere i caccia MIG di stanza a Entebbe. Seguono poi il quarto C-130 e il Boeing del Corpo Medico, che vengono subito caricati con i feriti e con gli ostaggi liberati. Alle 11:58, 57 minuti dopo l’atterraggio del primo aereo, tutti gli ostaggi sono liberati e portati fuori da Entebbe; 33 minuti dopo, l’ultimo aereo israeliano decolla con il generale Shomron a bordo. Resoconti riferiscono che ore dopo la partenza dell’ultimo israeliano, a Entebbe si sentiva ancora sparare.
Alla fine furono uccisi 13 membri del F.P.L.P. e 35 soldati ugandesi; undici caccia MIG 17 e MIG 21 dell’aviazione ugandese furono distrutti, per assicurarsi che i vulnerabili C-130 non venissero inseguiti. Morirono anche tre ostaggi, come pure il comandante della forza d’attacco, tenente colonnello Yonatan Netanhyau, colpito da un soldato ugandese. La mattina del 4 luglio 1976, gli ostaggi rientrarono in Israele, accolti come eroi tra manifestazioni di gioia, sollievo e orgoglio nazionale.
Entebbe fu un’importante vittoria per Israele, per tre motivi: in primo luogo, rese consapevole il mondo occidentale, fino ad allora piuttosto distratto, dei pericoli del terrorismo; in secondo luogo, inflisse al terrorismo palestinese, e in particolare all’F.P.L.P., una sconfitta pubblica, dura ed umiliante. Ma soprattutto, rialzò il morale della nazione dopo la quasi disfatta della guerra “d’ottobre” del 1973, e segnò la fine di un periodo di disfattismo che aveva pervaso alcuni ambienti delle F.D.I.: il vecchio tzahl capace di ogni cosa era tornato sulla scena. Sapevano di essere i migliori, e ora lo sapeva anche il resto del mondo.
Il resoconto dell’operazione è tratto da Le Forze di Difesa Israeliane dal 1973 di Sam Katz, Osprey Publishing.
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5 commenti:
Incredibile il livello di risposta organizzativa ad un dirottamento aereo, viene proprio da chiedersi cosa stessero facendo invece l'11 settembre per non essersi resi conto di nulla, assolutamente di nulla... e non dovremmo ancora crederci? Ho saputo che in quello stesso giorno erano in corso svariate operazioni di simulazione di attentati terroristici in modo da tenere occupati coloro che sarebbero dovuti intervenire e confondere le acque...
Ciao!
Dovresti comprarti l ultimo libro di giulietto chiesa..Sul nostro blog puoi trovare il video dove ne parla con Augias
Sì infatti ho visto con piacere il video che avete segnalato e mi ero persa quella trasmissione, purtroppo la trasmettono in un orario impossibile per me!
;)
Un post decisamente interessante....è un bene che non si dimentichi la VERGOGNA del terrorismio palestinese che si comportava come i nazisti mentre il mondo faceva finta di non sapere...
Emanuel Baroz
http://www.focusonisrael.org
Un post decisamente interessante....è un bene che non si dimentichi la VERGOGNA del terrorismio palestinese che si comportava come i nazisti mentre il mondo faceva finta di non sapere.
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