lunedì 25 febbraio 2008

La assenza di Certezza della Pena? Una scusa all'italiana

Spesso sentiamo parlare di pene inadeguate, di delinquenti che la passano liscia e di carceri sovraffollate. L'opinione pubblica, che in una democrazia che si rispetti ha un ruolo principe, non vede di buon occhio il sistema di giustizia italiano, perchè lo ritiene al pari di una sceneggiata napoletana; con i pianti e lamenti strazianti delle madri "Ciroooo! perchè!!!" e autorità inerti, incapaci di rispondere all'offesa e catturare il colpevole. Ma se ci fosse la certezza della pena, un carcere duro, e tutto quello che un italiano medio chiede alla giustizia italiana di garantire, siamo sicuri che sarebbe sufficiente per reintegrare il condannato? Mi fa riflettere l'episodio di qualche giorno fa di Aosta, in cui un professore di scuola Media inferiore, condannato a 2 anni e 3000 euro per pedofilia, scontata la pena, viene inserito nell'ambiente scolastico per la seconda volta, suscitando scalpore, sdegno in tutto il circondario. Persino il presidente della regione Valle d'Aosta ha chiaramente esposto che farà ricorso in appello contro la decisione del giudice di reintegrare il condannato.
L'art 27 della Costituzione prevede che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato." Si denota un chiaro fine della sanzione penale, quello della rieducazione e reintegrazione nella società del condannato. E' un principio inderogabile e inappellabile, a mio giudizio, che deve essere chiaramente accompagnato da un efficace sistema giudiziario. La forte critica alla incompatibilità tra giustizia legale e giustizia sociale è avvertita anche nel mio cuore. Ma non possiamo cadere nell'errore di prediligere la seconda a scapito della prima. Una norma penale è prevista indipendentemente dai sentimenti sociali che aleggiano nel determinato periodo storico, la norma deve essere applicata in relazione al fatto commesso e non perchè la società ha bisogno di colpevoli per stare tranquilla. E' un chiaro rifiuto al giustizialismo che spesso nella storia ha portato a gravi conseguenze, come l'haparteid e l'olocausto. La mia riflessione giunge al termine con questa ultima domanda.. Siamo realmente disposti ad accettare una rieducazione della pena ipotizzando un sistema giudiziario che funzioni? oppure nemmeno questo è davvero sufficiente?

Vi chiedo una ampia discussione sul forum, non inerente al caso specifico della pedofilia, ma inerente al quesito per ultimo posto.

Fonti

5 commenti:

Fabri ha detto...

Aperta nuova discussione sul Forum nella sezione Politichiamo in relazione a questo intervento di Popo!

KciN ha detto...

Attenzione!

Il sistema giudiziario Italiano si basa sulla certezza della pena!!

Questo non ha niente a che vedere con quanto dici tu!!

Certezza non è uguale a carcere duro!!

E' altresì essenziale per la rieducazione e per il fine di rpevenzione generale, e coninvolge non solo la norma incriminatrice ma anche le "strutture"/uffici giudiziari stesse/i!

Beca ha detto...

il carcere duro non riqualifica necessariamente un condannato, anzi in alcuni casi rende la persona ancora più gretta e pericolosa.. comunque io da italiano medio mi accontenterei di veder almeno applicata la certezza della pena, poi magari quando l'italia sarà più matura, anche la riqualificazione del soggetto

Bobbe Mallei ha detto...

Il condannato DEVE essere rieducato e reinserito nel tessuto sociale...su questo non c'è molto da discutere. E' chiaro che poi bisognerà modificare la nostra organizzazione e cercare un sistema che eviti più possibile che i soggetti ricadano nell'errore.

Anonimo ha detto...

Il carcere duro è una cosa, la certezza della pena, un'altra. Non facciamo confusione.
Certo, il carcere deve anche riabilitare, anche. Ha però anche altri compiti: restituire dignità alle vittime attraverso la giustizia, istituto che si fonda sulla verità: ad azione corrisponde una reazione. Questa è verità scientifica: azione grave=reazione grave: omicidio= morte dell'altro= carcere per chi uccide. Se la società stabilisce, non solo attraverso le leggi ma anche attraverso la morale e l'etica, che 30 anni sono una condanna equa per un certo crimine, quei 30 anni vanno scontati tutti sino all'ultimo secondo. Senza attenuanti, senza sconti, senza premi: elementi che tolgono valore all'atto primario e che non educano. L'altra funzione della detenzione e' quella del deterrente: chi compie crimini gravi deve sapere che va incontro a una pena commisurata alla gravità della sua azione e che, come tale gravità non può essere messa in discussione da chi si appella alla costituzione e all'umanità, la pena che ne deriva non potrà altresì essere discussa.
Ridurre la pena significa togliere valore al risultato dell'azione e diminuire la gravità di quest'ultima. La pena, per avere valore riabilitativo, educativo e deterrente, deve essere scontata fino all'ultimo giorno con coerenza. Il condannato che si comporta bene e che si pente non fa altro che dare prova del funzionamento della costrizione. Costrizione entro la quale potra svolgere attività ribilitative certo, ma pur sempre costrizione, che però - non dimentichiamolo- non gli è data gratuitamente. Gli viene come come effetto di una causa che dipende da lui esclusivamente. Egli infatti non è stato costretto a compiere l'atto primario se non da se stesso, individuo in grado di scegliere. E se si sceglie un atto oltrechè inumano, anche incostituzionale: uccidere=levare libertà all'altro. Ledere l'altro.Non si può pensare poi di ricevere in cambio baci e carezze. Pena certa vuole dire pena scontata fino all'ultimo giorno. Questo si chiede.La condanna può cercare di recuperare e restituire un individuo corretto alla società-ammesso che sia possibile quando si tratta di certi crimini- ma non può e non deve fare dimenticare l'origine di quella condanna.