giovedì 14 febbraio 2008

L’ultima lezione


Forse nessuno di voi ha mai sentito parlare di un certo Unamuno.

Miguel de Unamuno nacque il 29 settembre del 1864 a Bilbao, in Spagna, ma era considerato (e si considerava lui stesso) un basco. Professore e rettore all’Università di Salamanca, fu scrittore di testi teatrali, romanziere, saggista, poeta, ma soprattutto filosofo, nel senso che usava il cervello non solo per dare volume al cranio, ma anche per riflettere sul mondo che lo circondava. Esasperato dal periodo di decadenza cui andava in contro la Spagna negli anni ’20 del novecento, appoggiò l’insurrezione nazionalista che diede avvio alla guerra civile spagnola, nel luglio del 1936, nonostante il suo popolo, i baschi, avesse deciso di rimanere fedele al governo legittimo.

Bastarono pochi mesi a fargli cambiare idea.

Il 12 ottobre 1936, anniversario della scoperta dell’America, l’università di Salamanca organizzò un Festival della Razza Spagnola; nel pubblico erano presenti molti esponenti e sostenitori del movimento nazionalista, compreso un grosso contingente di membri della Falange Espanola, il partito fascista spagnolo.

Fra le personalità sul palco vi era la moglie di Francisco Franco (il generale che aveva assunto il comando del golpe nazionalista), l’arcivescovo di Salamanca, Millàn Astray, fondatore e capo del Tercio (l’equivalente spagnolo della Legione Straniera), e Unamuno. Poco dopo l’inizio della cerimonia il professor Francisco Maldonado, durante un infuocato discorso a favore dell’insurrezione, aveva sferrato un violento attacco al nazionalismo basco e catalano, che definì (sono parole sue) un "cancro della nazione" da curare con "il bisturi del fascismo". Dal pubblico qualcuno lanciò il grido di battaglia del Tercio: "Viva la muerte!"; il generale Atray, che sembrava lo spettro stesso della morte, privo com’ era di un braccio e di un occhio, scattò in piedi a lanciare lo stesso grido, subito acclamato dagli evviva e dai saluti a braccio teso dei falangisti.

Nel silenzio che seguì il frastuono della folla, Unamuno si alzò lentamente in piedi; la sua voce tranquilla fu un impressionante contrasto.

"Tutti voi aspettate le mie parole. Tutti voi mi conoscete e sapete che io non sono capace di tacere. A volte tacere equivale a mentire, perché il silenzio può essere interpretato come un consenso. Voglio commentare il discorso, se così vogliamo chiamarlo, del professor Maldonado. Lasciamo da parte l’insulto personale nell’improvviso scoppio di offese contro baschi e catalani. Io stesso, naturalmente, sono nato a Bilbao. Il vescovo, che gli piaccia o meno, è un catalano di Barcellona. E proprio ora ho sentito un grido necrofilo e insensato, "viva la morte". E io, che ho trascorso la mia vita a formulare paradossi, debbo dirvi, con l’autorità di un esperto, che questo bizzarro paradosso mi ripugna. Il generale Millàn Astray è un invalido. Diciamolo senza sfumature. È un invalido di guerra. Come lo era Cervantes. [l’autore del "Don Chisciotte" aveva perso una mano combattendo a Lepanto, nel 1571]Per sfortuna ci sono troppi invalidi oggi in Spagna. E ben presto ve ne saranno molti di più se Dio non verrà in nostro aiuto. A me fa male pensare che il generale Astray debba dettare il quadro della psicologia di massa. Un invalido cui manca la grandezza di Cervantes è abituato a cercare un sinistro sollievo nel provocare mutilazioni intorno a sé. Al generale Astray piacerebbe creare una Spagna nuova, una creazione negativa a sua immagine e somiglianza; per questo motivo si augura di vedere una Spagna invalida, come ha chiarito senza volerlo"Il generale, quasi travolto dalla sua rabbia inarticolata, scattò in piedi a urlare "Muera la inteligencia! Viva la muerte!"; i falangisti ripresero il grido, e gli ufficiali dell’esercito presenti estrassero le pistole. Pare che la guardia personale di Astray abbia puntato la canna del suo mitra contro la testa di Unamuno, ma tutto ciò non impedì al filosofo di gridare la sua sfida."Questo è il tempio dell’intelletto e io ne sono il gran sacerdote. Siete voi che profanate il suo sacro recinto. Voi vincerete, perché avete più che a sufficienza la forza bruta. Ma voi non convincerete. Perché per persuadere vi occorre ciò che vi manca: la ragione e il diritto nella vostra lotta. Io ritengo futile esortarvi a pensare alla Spagna"

Fece una pausa, con le braccia che gli ricaddero lungo i fianchi; poi a voce bassa, rassegnata:

"Ho finito".

Sembra che la presenza della moglie del generale Franco abbia impedito che Unamuno venisse linciato sul posto;

Il generale comunque decise di farlo fucilare, ma poi non se ne fece di niente, vista la fama internazionale del filosofo e la reazione all’estero provocata dalla morte del poeta Federigo Garcia Lorca, assassinato da membri della falange.
Miguel de Unamuno si spense a Salamanca il 31 dicembre 1936, con il cuore spezzato e bollato come "rosso" e traditore da coloro che considerava amici.

In una nazione, e in una società dove alle persone è chiesto di tacere, siano esse papi, operai di una acciaieria, magistrati "scomodi" o giornalisti, l’ultima lezione di Unamuno non dovrebbe essere dimenticata.

2 commenti:

Bobbe Mallei ha detto...

Articolo davvero commovente...non conoscevo la storia di questo personaggio. Una persona, pare che si capisca dall'articolo, che non ha avuto spazio rilevante sui libri di storia, ma che ha partecipato in prima persona a quelli che erano gli eventi di quel tempo...un esempio da seguire. Anche se credo che siano davvero pochi oggi le persone che possano vantare un coraggio del genere...

Simulacra ha detto...

Anch'io non conoscevo la storia di questo personaggio, grazie per l'ottimo lavoro che ci regalate sempre.

È TERRIBILE IL "Muoia l'intelligenza, Viva la Morte".